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conti di Lodrone e dalle miniere perginesi. Da una lettera dello stesso giorno di Sebastiano Antonini, vicario di Tione, intese il vescovo con piacere la deliberazione presa dagli uomini oltre il Durone d’esser fedeli, e di inviare quattro rappresentanti a confermargli quest’atto di sudditanza. Gianandrea Scutelli avvisa il vescovo Bernardo, avere i luogotenenti vescovili proibito, sotto pena della forca, di assaltare o derubare persone, e di convocare sediziosamente il popolo così in città come fuori. Aggiunge che, prima del suddetto proclama, alcuni volevano scacciare dalla città di Trento un Giovanni di Giudicaria canonico; ma che i luogotenenti ovviarono in tempo a cotesto arbitrio. Antonio di Vigolo avvisa il vescovo con lettera dello stesso giorno, essere giunti in Trento sette deputati, mossi da una diceria che i Trentini si volessero unire coi Veneziani. Non può tuttavia passare sotto silenzio che i Trentini bramavano il ritorno del loro vescovo nella città. Sebastiano Antonini sopradetto, vicario di Tione, ragguaglia il nostro Bernardo, essere tornati due messi spediti dai Giudicariesi a quelli della valle di Annone, e riferire che i tumultuanti aveano assediato il castello di Cles, ma che, comparsi molti, anche della valle di Sole, al suono della campana, in ajuto di Baldassare Clesio, fratello del vescovo, i ribaldi si ritirarono, chiedendo perdono. In questo frattempo i villani del Vescovato di Trento avevano spedito all’arciduca Ferdinando loro nunzii Cristiano di Vigo di Pinè e Giacinto Nascimbene di Cavedine, colla domanda di essere sollevati dai pretesi gravami e colla proposta, per vieppiù