le proprie ragioni, il Principato di Trento si trovò repentinamente involto nella guerra che Sigismondo, conte del Tirolo, spalleggiato da altri principi della Germania, mosse alla Repubblica di Venezia, sotto pretesto di una questione circa i confini dei rispettivi stati. Il Capitolo di Trento, legittimo depositario dell’autorità sovrana del Principato, sede vacante o in assenza del vescovo, potè facilmente venire indotto dal Conte del Tirolo, avvocato della nostra Chiesa, a prendere attiva parte alla lotta; tanto più, che gli si richiamava alla mente l’occupazione dei Vicariati eseguita nei primi decenni di quel secolo dai Veneziani, in virtù del testamento di Azzone di Castelbarco, e i recenti dissapori colla medesima Repubblica in materia dei confini tra Riva ed Arco. L’arciduca dunque discese con un esercito numeroso e bene agguerrito, e, raccolte le milizie trentine sotto la condotta di Giorgio di Pietrapiana, si spinse fin sotto a Roveredo, città già appartenente al Vescovato, ma allora posseduta dai Veneziani. Dopo quaranta giorni di assedio la obbligava alla resa; ma il castello, alla difesa del quale vegliavano Nicolò Priuli e Francesco Grasso, resistette all’oste nemica. La Repubblica spediva in soccorso agli assediati e a difesa delle altre terre Roberto Sanseverino, con una valida mano di fanti e di cavallieri; il quale tuttavia non giunse in tempo per impedire la perdita anche di quella rocca. Sorta poco dopo non so quale discordia fra i principali comandanti tedeschi, i principali tra essi si ritirarono, lasciando allo scoperto Roveredo, che fu subito ripigliato dai Veneti; i quali s’impadronirono ancora del