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blica di Venezia, e i Tennesi dipendenti dal Vescovato, nella quale si accennano contro ogni dovere interessati i fratelli di Lodrone a favore dei primi, benchè fossero vassalli della Chiesa di Trento. Ciò si deduce dal comando, trasmesso dal vescovo a Francesco, Bernardino e Parisiollo fratelli di Lodrone, di rimandare alle loro case, sotto la pena della decadenza dai feudi, i trecento bresciani da essi fatti venire in soccorso dei Rivani contro i Tennesi, ai quali venivano dai primi ingiustamente occupati i monti d’Embolo e Tobolo. Intorno a coteste differenze fu convenuta una tregua e quindi conchiusa una pace in Trento tra il vescovo, il Conte del Tirolo ed i Veneziani, mediante Francesco Tron oratore della Repubblica, coll’intervento degli ambasciatori del duca Sigismondo. Dopo essersi nell’istrumento di pace narrato il motivo della rottura (che fu il rapimento di alcuni animali fatto dagli uomini di Pranzo, sudditi veneti, ai sudditi vescovili di Tenno, e la tradotta di essi sui monti di Riva, per cui gli ultimi avevano armata mano investita e sottomessa la Bastia nel monte Embolo) si aggiungono i cinque seguenti articoli dalle parti ratificati: 1.° che la suddetta Bastia venga riconsegnata ai Veneti nello stato primiero; 2.° che le genti d’ambo i principi siano congedate e debbano tosto cessare le ostilità e atterrarsi i forti ivi innalzati dopo la seguita rottura; 3.° che nulla pregiudichi alle parti il passaggio e ripassaggio delle stesse nei rispettivi territorii; 4.° che le restanti differenze vertenti fra i sudditi vescovili e quelli della Repubblica vengano decise amichevolmente per mezzo