Dermulo, Bommartino Guaresco, Giovanni Gentilini e Bartolomeo da Cles, notaro; i quali, uniti successivamente a Federico di Malè e ad altri loro seguaci, invitarono il popolo a portarsi sotto il castello di Corredo, con alabarde ed armi d’ogni maniera. Difatti accamparonsi intorno a quel castello, collo scopo di distruggerlo, se loro fosse riuscito d’impossessarsene. Mentre i rivoltosi stavano con iscale e pali di ferro per eseguire il loro progetto, sopravenne Simone di Tono, luogotenente vescovile in esse valli, e chiese l’ingresso nel castello a nome del duca d’Austria; ma Bommartino Guaresco, coi complici più arrischiati, anzichè accordarglielo, insolentemente pretese ch’esso castello venisse consegnato nelle mani del popolo. E tant’oltre era arrivata la temerità dei ribelli, che nel dì della festa suddetta aveano spediti precetti penali agli uomini dell’Anaunia, affinchè niuno di loro ardisse d’ubbidire al vicario di essa valle, Nicolò Firmian, o ad altro ufficiale del vescovo. I ribelli, avviandosi verso castel Corredo, commisero ancora altri eccessi, fra i quali il derubamento della casa vescovile in Corredo, abitata da Antonio della Valle, massaro, infrangendo le porte e le finestre. E la notte seguente il Guaresco e l’Inama, coi loro compagni, data campana a martello in ambe le valli, comandarono a tutti di recarsi tosto verso Corredo, minacciando i renitenti di morte, e di saccheggio e d’incendio delle loro case. Diedero poi commissione a Federico e ad Antonio Cagnoni e loro seguaci d’invadere le case degli eredi di Guglielmino e d’Antonio Bevilacqua e d’Antonio Corradini.