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se con ispirito e fermezza più che virili, non avesse fra le torture persistito nella negativa. Sciolta dalle catene, abbracciò di buona voglia la nostra santa fede, dopo aver confessato il suo delitto e quello dei suoi; ma, ben presto dopo il battesimo, nel grembo della vera religione felicemente finì i suoi giorni. Gli altri ebrei, ch’erano solo colpevoli di approvazione all’infanticidio, o di consiglio o di bestemmie e d’imprecazioni, furono castigati con pena più mite.
Fatta questa giustizia del crudele infanticidio, il vescovo Giovanni, a perpetua infamia dell’abbominevole setta e ad edificazione e trionfo della cattolica religione, emanò un editto di proscrizione in perpetuo di tutta la nazione ebrea dal territorio trentino, sotto rigorosissime pene; il quale viene osservato tuttora con somma gelosia; non permettendosi agli ebrei neppure il transito pel Principato, se non siano distinti con un segno che li renda manifesti ed odiosi.
Intanto si era sparsa per tutto la fama dell’orrido misfatto e della esemplare sua punizione. Molti, persuasi della verità del fatto, concepirono non ordinario sdegno contro l’empietà degli ebrei, a segno che questi non si trovavano sicuri nei loro ghetti. Altri all’incontro, prevenuti da fine arti e maliziosi maneggi, pensavano essere il martirio dell’innocente Simone una mera invenzione del vescovo per appropriarsi gli averi dei condannati. Il degnissimo prelato, colla stessa fermezza con cui procedette a scoprimento e a castigo dei rei, si accinse alla difesa propria e del martire tridentino. Spedì alle corti di Germania Enrico di Slett-