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venga imposto alla città alcun capitano che non sia nobile e oriondo austriaco, e pratico della lingua italiana, il quale nel suo ingresso giuri di amministrare imparziale giustizia e di mantenere inviolati i privilegi e statuti; che lo stesso sia tenuto di fare il vicario ossia podestà; che le appellazioni dal vicario si devolvano al capitano e dal capitano al duca, il quale, secondo la qualità della causa, debba delegare un dottore non sospetto alle parti; che i vini forestieri non possano essere introdotti in città; che i cittadini abbiano la libertà di far condurre coi proprii carri le mercanzia di Bolgiano, collo stesso moderato dazio che i tirolesi, e di pescare e cacciare nel distretto di Trento ogni sorta di selvaggina, tranne i cignali1. Mentre si andava deliberando la suddetta transazione, trattavasi anche col mezzo di lettere e di confidenti, e specialmente del duca, nelle cui mani stava il comando, la riconciliazione dei sudditi col proprio principe-vescovo. Ma ogni premura riusciva inutile, fino all’anno 1465, in cui i Trentini con solenne ambasciata si risolsero d’invitarlo al ritorno. Ad esso si accinse il vescovo Giorgio, ma, giunto alla villa di Matrai, diocesi di Bressanone, li 20 agosto 1465, vi moriva d’idropisia. Il di lui cadavere fu portato a Trento e sepolto nella cattedrale di S. Vigilio, al lato destro dell’altare di S. Massenza, ove dal suo successore gli venne eretto un nobile mausoleo, con iscrizione incisa nel marmo.
Avendo il pontefice Paolo II riservata a sè, per
- ↑ Miscellanea Alberti, T. III, fol. 160.