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tempo di sua cattività; implorando che il duca Federico venisse costretto a ritirarsi dal territorio di Trento, ingiustamente occupato, colla refezione dei danni. Il Concilio trovò giustissime le suppliche del nostro vescovo, e nella sessione XX, l’anno 1415, rilasciò un formidabile monitorio contro il detto duca e i suoi aderenti, comandando loro, sotto severissime pene, di restituire, entro trenta giorni dalla intimazione, ciò che alla Chiesa di Trento aveva usurpato; e in caso di non comparsa entro quel termine, li citava perentoriamente a presentarsi avanti di sè entro otto giorni. In esso monitorio sono pure compresi i sudditi, i ministri, gli ufficiali e i vassalli del Vescovato, e loro si vieta di obbedire a Federico, coll’assoluzione da ogni promessa e giuramento che fatto avessero al medesimo1. Nello stesso anno, a premura dei Padri del suddetto Concilio, fu pure portata da Sigismondo contro Federico una sentenza, colla quale fu condannato al bando imperiale, come spergiuro e contumace del Sacro Romano Impero; dichiarando liberi i di lui sudditi dal giuramento di fedeltà ad esso prestato. Il duca Federico, presente al Concilio, quando fu decretato contro di lui il monitorio, ricorse alle solite arti per eluderne l’esecuzione. Promise a Sigismondo con giuramento di fare tutto ciò ch’egli ingiungesse; laonde il monitorio restò sospeso per dar luogo ai trattati. Ma, mentre si disaminava dal re dei Romani l’affare, il duca, contro la data fede, partì da Costanza. Perciò,

  1. Lünig, Spicil. Eccl. Ρ. II, fol. 919.