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sua gravissima indignazione e della irremissibile condanna nel quadruplo; il che fa anche palese il di lui mal animo verso la Santa Sede1. Nell’anno medesimo 1407, al vescovo Giorgio che si trovava in Bolgiano, si presentarono i Sindici delle valli di Annone e di Sole, accompagnati da due deputati di ciascuna pieve di esse valli, chiedendo perdono di tutti i delitti commessi in un recente tumulto o rivolta, in cui avevano smantellato i castelli di Tuenno, di S. Ippolito e d’Altaguarda, dopo essersi impadroniti delle munizioni da bocca e da guerra che in essi esistevano, e aver perpetrati omicidii e sevizie contro gli aderenti all’Episcopato. Il vescovo condonò generosamente ogni loro eccesso, promise di non volere in alcun tempo permettere la riedificazione di quei castelli e neppure di ergere su quei dossi bastie o fortilizii, e confermò inoltre i loro privilegi e statuti. L’unica sodisfazione che il buon prelato si prese, fu d’inibire a Franceschino e a Giacomo di Revò, principali autori di quella rivolta, la dimora ulteriore nelle valli suddette, dichiarandoli inabili ai pubblici ufficii e confiscando i loro beni a favore delle medesime valli. In tale incontro dimise pure dal vicariato e massariato di esse valli Manfredo di Cles, ed esigette dai Sindici ivi comparsi la rinnovazione del giuramento di fedeltà2.
Il duca Federico frattanto, non contentandosi di usurpare ora l’uno ora l’altro dei diritti spettanti alla