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vedova di Nicolò d’Arco, al di lei figlio maggiorenne Vinciguerra e ai minori Antonio e Nicolò, dei quali era tutrice, la investitura di tutti quei corpi feudali, di cui furono investiti i loro antecessori dalla Chiesa di Trento. La investitura era ristretta alla linea maschile, e la ricevette in ginocchio, promettendo di chiederne ai tempi debiti la rinnovazione. Per essere poi la donna di sua natura volubile ed incostante, volle il provvido prelato che la promessa fosse accompagnata da un’idonea cauzione, che fu prestata da Odorico avvocato di Amacia, suocero di Vinciguerra, da Azzone di Castelbarco, loro zio, e da Firmo Secco di Caravaggio, milanese, cognato dei detti fratelli1. Li 28 d’aprile del detto anno Guglielmina di Giovanni dei Bellenzani rifiutò nelle mani del vescovo Alberto una picciola muta, già posseduta da Simeone del Dosso, di soldi nove e denari sei, esigibile nella città di Trento dalle merci che si conducevano sul fiume Adige; affinchè di quella investisse, a titolo di feudo, Adelperio di Delaito di Trento2.
Il nostro vescovo aveva aggiunto agli Statuti municipali di Trento alcuni salutari ordinamenti, adattati ai tempi. E tali statuti, assieme coi privilegi della città furono in quest’anno confermati dal duca Alberto, conte del Tirolo, contro ogni diritto, e il vescovo non osò contrariare ad atto cotanto pregiudicevole alla sua autorità3.