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padre Giovanni e i suoi antenati avevano riconosciuti dalla Chiesa di Trento; i quali erano (secondo l’elenco che l’infeudato medesimo diede in iscritto) i seguenti: il dosso di Castel Romano, il dosso di Castel Torodoi, il castello Anzenglo, il dosso di Castel Palude in Brentonico, il dosso di Castel Bando, il dosso di Castello Albano, le decime di Mori, la metà del Castelcorno, la metà di Castel Bradalica, la muta di Sacco, la muta di Marco, la metà della torre di Castelbarco, la metà del Castello di Avio, la metà di Castel S. Giorgio, la metà della Clozella, le decime sotto Castelbarco, i vassalli di Gardumo e di Mori, e la metà del castello di Serravalle1.
Dalla sentenza pubblicala nel 1366 dal duca Leopoldo, conte del Tirolo, colla quale si dichiara la quota ed il modo da osservarsi dagli abitanti del borgo di Pergine e dagli esteriori nel condurre il mosto ed il vino di decima al castello, si deduce che quella giurisdizione col suo castello non fu restituita alla Chiesa, com’era giusto, dacchè fu occupata dalle armi del Brandenburghese. Essa rimase quindi in poi sotto al dominio tirolese fino all’anno 1531, nel quale fu permutata colla metà di Bolgiano, che era di ragione vescovile2. In questo medesimo anno 1366, il vescovo Alberto creò ο piuttosto confermò due novelli cittadini di Trento, che furono Bettino e Nicolino di Cremona; concedendo inoltre a quest’ultimo la facoltà di esercitare l’arte notarile in tutto il Vescovato3.