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ed Enrico di Rottenburg ed Enrico di Gerenstein, suo genero, e molti altri nobili di fare in maniera che il Conte adempia lealmente la stipulazione. Per dimostrare vieppiù la sincerità dell’animo suo e la sommissione ai voleri dei delegati, il Conte Mainardo diede in pegno convenzionale i suoi castelli di Thaur, di Friedenberg, di Ombres e di Rottenburg. Premesso l’atto suddetto, i due delegati apostolici, considerando che il vescovo Filippo non si era curato di comparire nel termine stabilito, ma avea spedito un suo procuratore col mandato di appellare, e non già di prestare idonea cauzione di non danneggiare il Conte, come richiedevasi nel breve di papa Celestino, rigettarono quella procura come insufficiente, e, attesa la inobbedienza e contumacia del vescovo, pronunziarono una sentenza, colla quale assolsero il Conte, i suoi discendenti, i vassalli, i sudditi ed i fautori da qualunque censura di scomunica, anatema, e interdetto; comandando a tutti i rettori di pubblicare tale assoluzione plenaria al popolo nei giorni festivi1.

Ma la giustizia divina corresse i difetti della giustizia umana, muovendo il Conte gravemente ammalato, l’anno 1295, ad aggiungere al suo testamento due codicilli; col primo dei quali comandava la restituzione di tutti i beni tolti alla Chiesa di Trento, e col secondo provvedeva all’indennità di Jacopo Vitagnone di Bolgiano, a cui erano stati usurpati alcuni

  1. Miscellanea Alberti, Τ. V, fol. 70. Τ. VI, fol. 41. T. VII, fol. 189-190.