al suo capitano della città di Trento, Federico di Trebenstein, (come si ricava dalla licenza da lui concessa a Pietro dei Bellenzani notaro, di fare il transunto d’ambi gli atti) al suo podestà di Riva, ai capitani di Tenno, di Stenico e di Ossana, e a tutti che tenessero beni, onoranze, diritti e giurisdizioni spettanti alla Chiesa di Trento, col quale ingiunge di consegnare ogni cosa al Capitolo e al Vescovato1. La speranza del ravvedimento del Conte Mainardo, ispirata da questi atti, fu ben presto scemata pel contegno brutale contro il nunzio delle esecuzioni papali da lui tenuto prigione. Perciò il delegato apostolico con un altro monitorio comandava la restituzione del tutto nel termine di quindici giorni, colla minaccia che, passato questo tempo senza aver adempiuto ai proprii doveri, il Conte incorresse nella scomunica maggiore2. Ed il pontefice, cui stava a cuore il bene della Chiesa di Trento e la salute spirituale del Conte, nel mese di giugno 1291 commise agli abbati di S. Ruffino e di S. Maria di Fellonica, ambo nella diocesi di Mantova, di prosciogliere dalle censure ecclesiastiche il Conte e i suoi complici, dopo la intiera restituzione dei beni usurpati al Vescovato trentino, comminando la reincidenza nelle stesse pene in caso di nuova contravvenzione3. Reso consapevole della commissione papale, il Conte Mainardo cercava ogni mezzo o pretesto per eludere o almeno tirare in
- ↑ Miscellanea Alberti, Τ. V, fol. 117.
- ↑ Miscell. Alberti, T. VII, fol. 23.
- ↑ Ughelli, Italia sacra, Τ. V.