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Enrico ed Ezzelino fratelli di Egna rinunciarono nelle mani del nostro vescovo ogni diritto sulla scarìa e decanìa di Romeno con tutte le rendite ad essa annesse, che potessero loro competere in virtù di certa compra che dicevano aver fatta dai figli di Sicherio Longhi di Mezzotedesco1.

In questo medesimo anno il povero nostro vescovo si ritrovò per la seconda volta in pieno potere del Conte del Tirolo, che gli aveva mossa nuova guerra. Mentre esso vescovo nel mese di settembre era sotto rigorosa custodia, e pendente la questione presso la Santa Sede per la chiesa parochiale di Mais tra lui e il convento dei Cisterziesi di Stambs, quei frati, colta l’occasione opportuna al loro disegno, procurarono, senza renderne inteso l’arciprete di Riva, terzo delegato apostolico, da essi creduto sospetto, che gli altri due delegati (cioè l’abate del Monte di S. Maria in Val Venosta, e il Preposito della Chiesa di Bressanone) arrogatasi contro ogni giustizia la intiera giurisdizione, citassero il retento Enrico in Bolgiano, luogo posseduto dal suo nemico Mainardo e però mal sicuro agli stessi procuratori del vescovo, che per tema della vita e della roba non erano in grado di comparire. Perciò convenne all’angustiato vescovo nostro appellare alla Santa Sede; e poscia rinnovare quest’atto, dopochè, pendente il primo, gli fu fatta una seconda intimazione illegale. Col tempo, come vedremo, la suddetta pieve fu dai vescovi di Trento per accomodamento accordata ai

  1. Miscellanea Alberti, T. VI, fol. 158.