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Sul principio di quest’anno 1277, il vescovo Enrico volle dar sesto alla giurisdizione e castello di Pergine, che di fresco con grande dispendio aveva redento dalle mani di Adelpreto di Mezzo. Ad istanza dunque del decano Godescalco e dell’arcidiacono Ulrico, suoi fidi consiglieri, di alcuni amici e del Magistrato di Trento, chiamati col suono della campana a consulta, consegnò in feudo a Martino di Pergine ed a’ suoi figli ed eredi il palazzo posto sopra il monte e dosso di Pergine, con tutte le ragioni ad esso spettanti, ad onore e servigio del vescovo e del Comune di Trento, riserbandone a sè la giurisdizione1. E comechè pur troppo aveva motivo di temere che, in sua assenza, il conte Mainardo, non ostanti le promesse e la sentenza imperiale, non si riprendesse il castello di Trento, ne fece carta di donazione perpetua ed irrevocabile a S. Vigilio, protettore della diocesi, sul di lui altare nelle chiesa cattedrale; proibendone e annullandone la vendita o l’alienazione, sotto pena della scomunica; dopo aver narrate le violenze sofferte, la sua retenzione in esso, e del suo antecessore Egnone, i danni recati alla città e ai cittadini, la fuga e la trasmigrazione di questi, ed altri innumerevoli guai, che diedero impulso alla donazione suddetta2.
Compiute coteste cose di somma importanza, il vescovo Enrico si portò a Vienna presso la corte imperiale, ove procurò di ottenere la sospirata dichiara-