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Nicolò, Jacopo e Giovanni, e volendo ricompensarli quanto era fattibile nelle attuali strettezze, il suddetto vescovo li investiva del castello di Meiano, e di 150 lire veronesi di stipendio per la custodia di esso, da ricavarsi dalle rendite vescovili dalla Chiusa di Beseno fino a Salorno, eccettuata la città di Trento1. Sulla fine di dicembre di quest’anno medesimo fu conchiusa la pace fra i conti del Tirolo Mainardo ed Alberto ed i signori di Arco, dopo molte e calamitose ostilità originate dalla vendita del castello di Arco fatta ai conti del Tirolo dal podestà imperiale Sodegerio di Tito, e dal testamento di Cubitosa, del quale abbiamo parlato2.
Nel 1276, il vescovo Enrico investì Guglielmo e Bonaverio, figli di Bellenzano, di una parte della muta che si esige nel Covalo di Riomalo fra l’ospitale di Lavarone e quello di Brancafora, e d’una porzione di selva e di monte da Zono Folgarido fino al Lastego e al suddetto ospizio di Brancafora3. Ai primi di aprile di quell’anno, il nostro prelato costituì suo procuratore Jacopo di Zwingenstein per investigare i diritti spettanti al Vescovato nella cappella di Termeno, e rinnovare le locazioni perpetue coll’assistenza di dodici giurati del luogo4.
Frattanto il trattato amichevole procurato dall’Imperatore tra il vescovo nostro e il Conte Mainardo non