diti vescovili. Enrico, dato di mano alle armi spirituali, scomunicò l’usurpatore e i suoi complici, sottoponendo alla stessa censura e all’interdetto la diocesi; indi coll’ajuto dei popoli di Bressanone, tartassati dal Conte, e di parecchi vassalli rimasti fedeli, fra i quali si distinsero i nobili di Zwingenstein, radunato un esercito, assalì la città di Trento, e da quella e da varii altri distretti riuscì a cacciare il presidio nemico. Ma passarono appena otto giorni dal suo ingresso in città, che vi fu fatto prigione. Potè colla fuga sottrarsi alla custodia del suo avversario li 25 gennajo del 1275; nondimeno fu poi costretto di vivere in esiglio per mesi dieci e giorni dodici, vale a dire fino ai 4 dicembre. Ritornato, si trovò in nuova lotta col Conte del Tirolo, che durò mesi sette. Mainardo II accusò il nostro vescovo come spergiuro presso la Santa Sede; ma Enrico potè presto scolparsi della strana imputazione, e, mercè l’efficace interposizione di Cesare, ricuperò il suo castello di Trento. Le cose sarebbero state condotte all’estremità, se l’Imperatore, chiamati i contendenti presso di sè nella città d’Augusta, esaminate le loro differenze e ragioni, non avesse per sentenza arbitrale deciso, che il conte Mainardo restituisse al vescovo tutte le rendite usurpate della città e della diocesi, e depositasse per un anno, dal prossimo S. Michele, i castelli di Edemburgo, di Levico, di Volsana e di Tonale, da sè occupati, nelle mani dei Cavalieri Teutonici, i quali, se fra quel tempo seguisse la pace, dovessero consegnarli ad Enrico, e, se non seguisse, li restituissero in potere del Conte, restando vive le