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da ricavarsi in Rendena e nelle pievi di Ledro e di Bono, e in certa quantità di vino in Riva ed in Arco, verso lo sborso di 325 lire veronesi1.
Intorno al detto anno 1225 furono ammessi nella città di Trento i Frati Domenicani, i quali nei primi tempi avevano la loro abitazione in vicinanza alla chiesa parochiale di S. Maria Maggiore; fino a che, soppressi i Padri Benedettini, fu loro assegnata la chiesa di S. Lorenzo, col monastero e coi beni adjacenti di là dall’Adige, ove tuttora dimorano2. In questo sacro Ordine, ai tempi del vescovo Gerardo, fiorì il domenicano Bartolameo da Trento, uomo dotto e religiosissimo, di cui ci rimangono alcuni frammenti di cronache trentine, e un libro di leggende o vite di santi, che sono in gran credito presso i letterati3.
Di quest’anno si leggono molte investiture concesse dal vescovo Gerardo. Fra queste: una a Jacopino da Lizzana, di tutto ciò che in quella pieve possedeva, compreso Rovereto4; una ai fratelli Aldrighetto e Giordano di Gardumo, del dosso appellato Gresta, per fabbricarvi un castello, che poi godettero i Castrobarcensi5; una di locazione a Martino e ad Ottone di Termeno, di alcuni poderi e di una casa in quel luogo6; altra a Giovanni Boti rivano, di due vignali