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dei vassalli del Principato di Trento, Nicolò di Egna promulgò un laudo, in cui dichiarava che, se un feudatario vende il feudo o tutto o in parte, senza licenza dell’infeudante, il padrone del feudo possa andare al possesso della porzione venduta1. Nel giugno dell’anno medesimo investì feudalmente d’un maso in Curtazza i fratelli Montenario e Gonselmo per varii servigi da loro fatti alla Chiesa di Trento, e specialmente per avere prestate 470 lire veronesi al vescovo Federico di Wanga, quando crocesegnato si portò in Terrasanta, ed altre 130 ad esso vescovo Alberto2.

Avvisato che Federico imperatore era in procinto di imprendere il viaggio di Roma per farvisi incoronare, il nostro vescovo convocò i vassalli del Principato, fra i quali intervennero i conti del Tirolo e di Ulten, affine di trattare con essi della quota che a tale scopo doveva ciascuno contribuire. Il vescovo comandava che ogni columello presentasse un soldato per l’accompagnamento di Cesare3. Nel luglio del 1220, i tre figli di Ottobono di Bellastilla rassegnano al vescovo nostro la loro casa munita con torre nel borgo di Riva, e la ricevono subito in feudo maschile e femminile; col patto però che i maschi non piglino moglie fuori della giurisdizione del Vescovato4.

  1. Miscell. Alberti, Τ. VI, fol. 159. Bonelli, Notizie istor. crit., Τ. II, pag. 552.
  2. Miscell. Alberti, Τ. VI, fol. 193.
  3. Miscellanea Alberti, Τ. VI, fol. 184.
  4. Codice Wanghiano, pag. 326.