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133 ANNALI D'ITALIA, ANNO XL. 134

alcuno. Poscia tutto ad un punto ordinò ai soldati di raccogliere sul lido quante conchiglie o nicchi potessero nelle celate e nel seno, chiamandole spoglie dell’Oceano da portarsi a Roma, e da mettersi nel Campidoglio. In memoria di questa sua segnalata vittoria fece fabbricare ivi un’alta torre. Vennegli anche in testa prima di partirsi dalla Gallia, di far tagliare a pezzi le legioni che si rivoltarono molti anni addietro contra di Germanico suo padre, ed assediarono anche lui stesso fanciullo. Tanto gli dissero i suoi consiglieri, che depose così matta e crudel voglia; non poterono però tanto, ch’egli non persistesse nel volere almen decimare que’ soldati. Feceli per tanto raunar tutti senz’armi e senza spada, ed attorniare dalla cavalleria; ma accortosi che molti d’essi dubitando di qualche insulto, correano a prendere l’armi, fu ben presto a levarsi di là, ed affrettare il suo ritorno in Italia.

Venne egli, ma pieno di mal talento, contro al senato. Si trovavano stranamente imbrogliati i senatori, per non sapere come regolarsi con un sì fantastico e pazzo imperadore1. Se gli decretavano onori straordinari per la sua pretesa vittoria de’ Germani e Britanni, temevano del male, quasi che il beffassero; e non decretandone alcuno, o pochi a misura dei di lui desiderii, ne temevano altrettanto. Egli inoltre avea scritto di non volere onori; e pur da lì a non molto tornò a scrivere, lamentandosi che l’aveano defraudato del trionfo a lui dovuto. Ed avendogli il senato inviato all’incontro un’ambasceria, sollecitandolo a venire a Roma: Verrò, verrò, rispose, e con questa, tenendo la mano sul pomo della spada. Fece anche pubblicamente sapere a Roma, ch’egli ritornava, ma solamente per coloro che desideravano il suo arrivo, cioè per l’ordine equestre e popolo, perchè quanto a sè non si terrebbe più per cittadino nè per principe del senato. Nè dipoi volle che alcun de’ senatori venisse [p. 134]ad incontrarlo. O rifiutato o differito il trionfo, si contentò dell’ovazione: col qual onore entrò in Roma nel dì 31 d’agosto, giorno suo natalizio, conducendo seco per pompa que’ pochi prigionieri disertori tedeschi che potè avere, a’ quali unì una mano d’uomini d’alta statura, raccolti nella Gallia, e fatti tosare e vestire alla tedesca. Menò ancora, e buona parte per terra, le galee che l’aveano servito nella ridicolosa spedizione contra della gran Bretagna2. Gittò poi in questa occasione dall’alto della basilica giulia gran quantità d’oro e d’argento, e nella folla molti vi perirono. Dopo tal solennità comandò che fosse ucciso Cassio Betulino, e volle che Capitone di lui padre assistesse a sì funesto spettacolo; e perchè questi osò di chiedergli, se permetteva a lui la vita, a lui ancora la levò. Rappacificossi poi col senato per un accidente. Entrato nella curia Protogene, corsero tutti i senatori a complimentarlo, e a toccargli, secondo il costume, la mano. Fra gli altri essendosi a lui presentato Scribonio Proculo uno d’essi, Protogene, ministro della crudeltà di Cajo, guatandolo con occhio torvo: E tu ancora, disse, hai ardire di salutarmi; tu che cotanto odii l’imperatore? Allora i senatori si scagliarono addosso all’infelice, come ad un mostro e nemico pubblico; e con gli stiletti da scrivere, che ognuno portava addosso, tante gliene diedero, che lo stesero morto a terra. Il suo corpo fatto in brani fu poi strascinato per la città. Questo atto de’ senatori, e l’aver eglino decretato3 che l’imperadore avesse da sedere in un sì alto tribunale, che niuno potesse arrivarvi, e tener ivi le guardie, e che si mettessero anche dei soldati alle di lui statue; cagion fu, ch’egli si ammollì e perdonò a quell’augusto ordine: e similmente mostrò piacere, che i senatori più che mai l’adulassero, chi dandogli il titolo d’eroe, e chi di dio; il che servì

  1. Sueton. in Caligula, cap. 49.
  2. Dio., lib. 59.
  3. Dio., in Excerptis Valesianis.