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109 | ANNALI D'ITALIA, ANNO XXXVII. | 110 |
per la buona nuova dell’imperio, e la conoscenza del pericolo in cui si trovava costui, Tiberio l’abbracciò, e il tenne dipoi sempre in sua corte. Perchè la morte di costui facesse credere vicina quella di Tiberio, qualche predizione di cui si dovea essere intesa.
Anno di | Cristo XXXVII. Indizione X. Pietro Apostolo papa 9 Cajo Caligola imperadore 1. |
Consoli
Gneo Acerronio Procolo e Cajo Petronio Pontio Negrino
Ho aggiunto il nome di Petronio al secondo di questi consoli, perchè una iscrizione, riferita dal Fabretti1, fu posta CN. ACERRONIO PROCVLO, C. PETRONIO PONTIO NIGRINO COS. In vece di Negrino egli è appellato Negro da Svetonio2, siccome ancora una inscrizione da me data alla luce3. Sino alle calende di luglio durò la dignità di questi consoli. Appresso diremo a chi pervennero i fasci consolari. Anche nei primi mesi dell’anno presente si continuarono in Roma le accuse contra d’altre persone nobili; e perchè non erano accompagnate da lettere di Tiberio, credute furono manipolazioni di Macrone prefetto del pretorio, imitator di Sejano, e forse peggiore. Fra gli altri Lucio Arruntio, personaggio illustre, già stato console, non si potè impedir dagli amici, che, tagliatesi le vene, non si desse la morte, allegando che un vecchio par suo non sapea più vivere, battuto in addietro da Sejano ed ora da Macrone; e massimamente non essendo da sperare miglior tempo sotto il successor di Tiberio, che anzi prometteva peggio, e sarebbe governato dal medesimo Macrone; siccome in fatti avvenne. Intanto, dopo essersi fermato Tiberio alcuni mesi nei [p. 110]contorni di Roma senza mai volervi entrare, o perchè non si fidava de’ Romani, o perchè qualche impostore gli avea predette delle disgrazie entrandovi, o pure perchè non voleva tanti occhi addosso alla sua scandalosa vita, determinò di tornarsene alla sua cara isola di Capri. Finora, benchè giunto all’età di settantotto anni, e benchè perduto in una nefanda lascivia, avea conservata la rubustezza del corpo, ed una competente sanità, camminava diritto come un palo, senza volersi servire di medicine, e con fare il medico a sè stesso: giacchè solea dire che l’uomo giunto all’età di trent’anni, non dee più aver bisogno di medici per saper ciò che conferisca o sia nocivo alla sanità. Ma egli si ritrovò infine sorpreso da una lenta malattia, arrivato che fu ad Astura4. Potè nondimeno continuare il viaggio sino a Miseno5, celebre porto, dissimulando sempre il suo male, e non men di prima banchettando con gli amici. Deluso dal suo poco prima defunto strologo Trasullo, che gli avea predetto anche dieci altri anni di vita, tenea per lontanissima tuttavia la morte. Fu creduto che Trasullo con buon fine il burlasse con quella predizione, acciocchè persuaso di vivere sì lungo tempo, non si affrettasse a far morire tanti nobili ch’egli avea in lista. E certo non pochi si salvarono per questo saggio ripiego, e fra essi alcuni già condannati, perchè ne’ dieci giorni di vita che si lasciavano loro dopo la sentenza, arrivò la nuova della morte di Tiberio.
Fingeva dunque, secondo lo stile della sua dissimulazione, Tiberio di sentirsi bene, tuttochè aggravato dal male, e ridotto a fermarsi nella villa e nel palazzo che fu di Lucullo. Ma Caricle medico insigne, e da lui amato, non già perchè volesse de’ medicamenti da lui, ma per li suoi consigli, destramente nel congedarsi da lui gli toccò il polso e conobbe che s’avvicinava al suo fine. Ne