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e il rame, e l’argento e l’oro. Vietò che i servi non potessero chiamarsi all’esame contra de’ proprii padroni, e neppure trattandosi di delitti di lesa maestà. Determinò che si facesse un tempio de’ defunti imperadori deificati, volendo nondimeno che ivi si collocassero le sole statue dei buoni Augusti, per animar alla loro imitazione i successori. Avendo fatta istanza del consolato dell’anno susseguente per suo fratello Floriano, il senato, benchè avvezzo a chinar il capo a tutto quanto bramavano i precedenti Augusti, pure negò a lui questa soddisfazione, adducendo che già erano designati i consoli, ed essere inconveniente il far torto ad alcun degli eletti. Dicono che Tacito si rallegrasse all’osservare questa libertà nella cura, e che dicesse: Sa il senato di che2590 tempre sia il principe ch’egli ha eletto. Poscia donò al pubblico il privato suo patrimonio, le cui rendite si fanno ascendere dal Salmasio ad un valore ch’io non ardisco di esprimere, parendo difficile a credersi. Sembra anche inverisimile questo dono per chi era vecchio ed avea figliuoli; e il publicavit di Vopisco potrebbe ammettere un altro senso. Tutto poscia il contante ch’egli si trovava in cassa l’impiegò in pagar le milizie. E tanto per ora basti di questo imperadore di pochi giorni.




Anno di Cristo CCLXXVI. Indizione IX.
EUTICHIANO papa 2.
FLORIANO imperadore 1.
PROBO imperadore 1.

Consoli

MARCO CLAUDIO TACITO AUGUSTO per la seconda volta ed EMILIANO.

Fa menzione Vopisco 2591 di Elio Scorpiano, che era console nel 3 di febbraio dell’anno presente; e perciò si può credere che Tacito Augusto tenesse un solo mese il consolato. Fra le altre azioni di lui riferite da Vopisco vi fu l’aver egli bandito da Roma i postriboli, non già delle pubbliche donne, per quanto io mi figuro, ma bensì di un vizio più deforme ed abbominevole: provvisione nondimeno che fu di brevissima durata in un popolo avvezzo ad ogni brutalità, perchè mancante dei lumi e del freno della vera religione. Proibì ancora il tenere aperti i bagni in tempo di notte, per impedire le sedizioni; e vietò, tanto agli uomini che alle donne, il portar vesti di seta. Volle che si distruggesse la casa propria, e che a sue spese quivi si fabbricasse un bagno pel pubblico. Cento colonne di marmo di Numidia, alte ventitrè piedi, donò al popolo d’Ostia. Assegnò alla manutenzion delle fabbriche del Campidoglio le possessioni ch’egli avea nella Mauritania; donò ai templi l’argento che serviva alla sua tavola; e manumise cento dei suoi servi dell’uno e dell’altro sesso. Continuò poscia a vivere come prima, usando le medesime vesti che gli aveano servito da privato. La sua tavola continuò ad essere parchissima: il maggiore imbandimento consisteva in cavoli ed erbaggi. Non volea che la moglie portasse gemme, e neppure permise al pubblico i ricami d’oro nelle vesti. Ebbe anche cura di punire rigorosamente gli uccisori di Aureliano, e sopra gli altri a Mucapor fu dato un rigoroso gastigo2592. S’era fin l’anno dietro udito un gran movimento di barbari Sciti dalla Palude Meotide, che pretendeano d’essere stati chiamati da Aureliano Augusto in suo aiuto. Costoro si sparsero pel Ponto, per la Cappadocia, Galazia e Cilicia, commettendo quelle ruberie ed insolenze ch’erano il mestier familiare di gente usata alle rapine. Tacito, benchè vecchio, giudicò debito della sua dignità il portarsi colà in persona coll’esercito. Seco era Floriano suo fratello, dichiarato prefetto del pretorio. Da due parti amendue