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esercito di lei, e di questi penuriava quel de’ Romani. Avea inoltre Zenobia la sua numerosa cavalleria armata tutta da capo a’ piedi, laddove la romana non era composta se non di cavalli leggieri. Aureliano, mastro di guerra, osservato lo svantaggio, ordinò alla sua cavalleria di mostrar di fuggire, tantochè la nemica in seguitarli si trovasse assai stanca pel peso dell’armi, e che poi voltassero faccia, e menassero le mani. Così fu fatto, e seguì un’orribile strage dei Palmireni. Eusebio2541 scrive che si segnalò in quella gran battaglia un generale de’ Romani, appellato Pompeiano e cognominato il Franco, la cui famiglia durava in Antiochia anche a’ suoi dì. Non osavano i fuggitivi di portarsi ad Antiochia2542, per timore di non essere ammessi, o pur di essere tagliati a pezzi da’ cittadini, se si accorgevano della rotta lor data; ma Zabda, o sia Zaba, lor generale, preso un uomo che si rassomigliava ad Aureliano, e fatta precorrer voce che conduceva prigioniere lo imperadore stesso, trovò aperte le porte, e quietò il popolo. La notte seguente poi con Zenobia s’incamminò alla volta di Emessa. Entrò il vincitore Aureliano in Antiochia, ricevuto con alte acclamazioni da quegli abitanti, e perchè parecchi de’ più facoltosi si erano ritirati per paura dello sdegno imperiale, Aureliano pubblicò tosto un bando di perdono a tutti; e questa sua benignità fece ripatriar di buon grado ciascuno. Dopo aver dato buon ordine agli affari di Antiochia, ripigliò Aureliano il suo viaggio verso Emesa, dove s’era ridotta Zenobia. Trovato presso Dafne un corpo di Palmireni che voleano disputargli il passo, ne uccise un gran numero. Apamea, Larissa ed Aretusa nel viaggio vennero alla sua ubbidienza2543. Consisteva tuttavia l’armata di Zenobia in settanta mila combattenti sotto il comando di Zabda. Si venne dunque ad una altra campale giornata, che sulle prime fu o parve svantaggiosa ai Romani, perchè parte della lor cavalleria o per forza o consigliatamente piegò. Ma mentre la inseguivano i Palmireni, la fanteria romana di fianco gli assalì, e ne fece gran macello, non giovando loro l’essere tutti armati di ferro, perchè i Romani colle mazze li tempestavano e rovesciavano a terra. Piena di cadaveri restò quella campagna. Zenobia con gran fretta se ne fuggì, ritirandosi a Palmira; ed Aureliano fu ricevuto con plauso giulivo in Emesa, dove rendè grazie al dio Elagabalo, creduto autore di quella vittoria; e dopo aver presi e vagheggiati con piacere i tesori che Zenobia non avea avuto tempo di asportare, marciò con diligenza alla volta di Palmira, città fabbricata da Salomone ne’ deserti della Soria, o sia della Fenicia, ed assai ricca pel commercio che faceva co’ Romani e Persiani. Nel cammino fu più volte in pericolo, e riportò gravi danni l’armata sua dagli assassini soriani. Pur, giunto a Palmira, la strinse d’assedio. S’egli in questo o pur nel seguente anno riducesse a fine sì grande impresa, per mancanza di lumi non si può ora decidere. Sia lecito a me il differirne il racconto al seguente.




Anno di Cristo CCLXXIII. Indizione VI.
FELICE papa 5.
AURELIANO imperadore 4.

Consoli

MARCO CLAUDIO TACITO e PLACIDIANO.

A Tacito primo console in quest’anno, perchè vien comunemente creduto lo stesso che vedremo poi imperadore, gl’illustratori de’ Fasti danno il nome di Marco Claudio. Benchè vi possa restar qualche dubbio, pure io mi son lasciato condurre dalla corrente. L’assedio di Palmira, siccome dicemmo, fu impreso da Aureliano con gran calore;