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27 | ANNALI D'ITALIA, ANNO IX. | 28 |
in piedi, mostrò al popolo questo suo vittorioso figliuolo. Furono in onor suo celebrati alcuni spettacoli. In questi tempi Augusto, raunati i cavalieri romani e trovato che in minor numero erano gli ammogliati che gli altri, pubblicamente lodò i primi, biasimò i secondi. Dione rapporta la di lui allocuzione, in cui egli mostrò appartenere non meno al privato che al pubblico bene che tutti avessero moglie, e si studiassero di mettere figliuoli al mondo, per mantenere le nobili famiglie romane, e sostenere il decoro della repubblica, massimamente ne’ bisogni delle guerre, con inveire gagliardamente contra di tanti, i quali non già per amore del celibato, ma per avere più libertà allo sfogo della lor libidine, fuggivano il prender moglie. Pertanto in vigore della legge Papia Poppea concedette varii privilegi a chi avesse o prendesse moglie, e pene a chi dentro un convenevol termine non si ammogliasse. Ed affinchè niuno si prevalesse dell’esempio delle Vestali, le quali pure nel loro stato erano sì accreditate, disse, che quando volessero imitarle, bisognava ancora che si contentassero d’essere puniti al pari di quelle vergini, qualora contravvenissero alle leggi della continenza. Fu poi sotto Tiberio mitigata questa legge.
Poca durata ebbe la pace della Dalmazia1. Quel Batone, capo de’ Pannonii, che dianzi avea mossi alla ribellione anche i Dalmatini, dopo aver preso ed ucciso l’altro Batone, tornò a cozzar coi Romani. Vollero questi prendere la città di Retino, ma per uno stratagemma dei sollevati ne riportarono una mala percossa. S’impadronirono bensì i Romani di alcuni luoghi; ma perchè apparenza non v’era di poter così presto terminar quella guerra, e Roma per quest’imbroglio scarseggiava di viveri, Augusto tornò di bel nuovo ad inviar colà Tiberio con un possente esercito. Nulla più bramavano i soldati, che di venire ad una giornata campale. Tiberio, che non voleva espor le genti all’azzardo, e temeva di[p. 28] qualche sollevazione, divise in tre corpi l’armata, dandone l’uno a Silano (o sia Siliano), l’altro a Lepido, e ritenendo il terzo per sè e per Germanico suo nipote. I due primi fecero valorosamente tornare al suo dovere il paese loro assegnato. Tiberio marciò contro Batone, ed essendosi costui salvato in un castello inespugnabile per la sua situazione, perchè fabbricato sopra alto sasso, e circondato da precipizii, non si scorgeva maniera di poter espugnare quella fortezza. Anderio era il suo nome. Furono sì arditi i Romani, che cominciarono ad arrampicarsi per que’ dirupi, e al dispetto de’ sassi rotolati all’ingiù, giunsero a mettere in fuga parte dei difensori ch’erano usciti fuori a battaglia. Per questo successo atterriti i restati nella rocca, dimandarono ed ottennero capitolazione. Britannico anche egli forzò Arduba ed altre castella alla resa. Disperato perciò Batone il Pannonico, altro scampo non ebbe, che ricorrere alla misericordia di Tiberio. Gli fu permesso di venire al campo, e concessogli il perdono, si rinnovò ed assodò meglio che prima la pace. Volò Germanico a Roma, a portarne la lieta nuova. Tiberio gli tenne dietro, ed incontrato da Augusto ne’ borghi di Roma, fece la sua entrata nella città con molta magnificenza. A Germanico furono accordate le insegne trionfali nella Pannonia; a Tiberio il trionfo e due archi trionfali nella Pannonia, con altri privilegii ed onori; ma del trionfo non potè egli godere, perchè poco stette Roma a trovarsi in gran lutto per una sempre memoranda sventura accaduta all’armi romane in Germania, di cui furono portate le funeste nuove cinque soli giorni dopo l’arrivo di Tiberio.
Siccome accennai di sopra, al governo della Siria, o vogliam dire della Soria, era stato inviato Quintilio Varo; di là poi venne in Germania per generale delle legioni che quivi continuamente dimoravano, per tener in dovere i popoli sudditi, ed in freno i non sudditi2. Tacito