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de’ suoi medesimi protettori, fu colui condannato alla croce, senza che alcuno si potesse lagnare del rigor di Alessandro. E non è già che questo buon imperadore non fosse inclinato alla clemenza. Certamente niun senatore a’ tempi suoi, benchè delinquente, perdè la vita; ed egli incaricava i giudici di procedere il più di rado che si potesse contra dei rei alla pena della morte e al confisco dei beni. Ma, premendogli il pubblico bene, voleva che la giustizia avesse il luogo nei casi bisognosi di esempio. E perchè Erodiano1946 scrive che il suo imperio fu senza sangue, Lampridio1947 ragionevolmente lo interpreta de’ soli senatori; e tanto più attestando il medesimo Erodiano, che a niuno sotto di lui fu levata la vita, senza essere stato prima conosciuto giuridicamente dai tribunali il suo delitto, ed emanata la condanna.
Anno di | Cristo CCXXVII. Indizione V. URBANO papa 6. ALESSANDRO imperadore 6. |
Consoli
ALBINO e MASSIMO.
Di gravi dispute sono state fra gli eruditi intorno al prenome e nome di questi consoli. Inclinò il cardinal Noris1948 a credere il primo Marco o Numerio Nummio Albino, ma con conghiettura priva di forza. Il Relando1949 e il padre Stampa1950, recata in mezzo una iscrizione del Gudio, appellarono questi consoli Lucio Albino e Massimo Emilio Emiliano. Ma possiamo noi fidarci dei marmi gudiani? Impropria cosa è che in quella iscrizione abbia il prenome Albino, e non lo abbia l’altro console. Più improprio è che il secondo console sia chiamato Massimo Emilio Emiliano. Non è nome di famiglia Massimo. E se l’ultimo suo cognome fosse stato Emiliano, le leggi e i fasti lo avrebbono notato con esso, e non già con quello di Massimo. Tre leggi, che hanno Albino ed Emiliano, non son da contrapporre a tante altre, che portano Albino et Maximo. Si potrebbe solamente sospettare che quell’Emiliano fosse sustituito a Massimo. Sempre nei decreti del senato si riteneva uno stile, nè si mutava, se non si cambiava console. Continuiamo ora a vedere come si regolasse verso del pubblico il buon imperadore Alessandro. Merita ben più la vita sua che quella del Macedone di esser letta dai principi, per imparar ciò che talvolta non sanno1951. Procurava egli a tutto suo potere la felicità de’ popoli, non solo coll’astenersi dall’imporre nuovi aggravii, ma con istudiarsi di sminuire i già imposti. In fatti ridusse ad un terzo quel che si pagava sotto Elagabalo per le gabelle, di maniera che dieci in vece di trenta si cominciò a pagare. Pensava anche di fare di più, ma non glielo permisero le necessità del pubblico. Non si sa ch’egli istituisse altro dazio che sopra i banchieri, orefici, pellicciai e quei delle altre arti. Questo nondimeno dovea essere leggiera cosa, perchè Lampridio lo chiama vectigal pulcherrimum. E questo non per farlo colar nella sua borsa, ma perchè il ricavato servisse al mantenimento delle terme, cioè dei pubblici bagni, che erano allora in gran credito ed uso; il che vuol dire che tal dazio tornava in comodo solamente del pubblico stesso. Volle si aggiugnesse olio ad esse terme, acciocchè anche di notte se ne potesse valere il popolo: il che dianzi non si faceva; e fu poi abolito da Tacito imperadore, perchè se ne abusava la gente cattiva. Levò anche affatto interamente qualche dazio, solito a pagarsi in Roma. Nè già favoriva egli il fisco in pregiudizio del popolo e della giustizia; anzi odiava tutti i ministri del fisco e delle