Questa pagina è ancora da trascrivere o è incompleta. |
al popolo il congiario solito a darsi dai novelli regnanti; ed è da credere che allora, se non prima, impetrasse dal senato il titolo di Augusta a Giulia Mesa avola sua, ed a Giulia Soemia sua madre, che a noi vien dipinta da Lampridio1897 per donna avvezza a mettersi sotto i piedi l’onestà e l’onore. Volle appunto Elagabalo, nella sua prima comparsa in senato, che i senatori pregassero la medesima sua madre di sedere presso i consoli, e di dire il suo parere a guisa degli altri senatori: novità non più veduta ne’ tempi addietro, e che non si praticò se non sotto questo capriccioso giovane Augusto. Costituì anche un senato di donne nel monte Quirinale, capo di cui era la stessa Soemia, acciocchè quivi si trattassero e decidessero gl’importantissimi affari della repubblica femminina. Quivi poi furono fatti dal senato consulti ridicoli intorno alle precedenze e mode donnesche; e fu deciso qual foggia di vesti s’avesse a portare; quale delle dame precedere, quale baciar l’altra, ed a chi competesse carrozza colle mule, a chi coi buoi. Ad alcune era conceduto l’andare a cavallo, ad altre solamente il cavalcare asinelli, e ad altre il farsi portare in seggetta. Fra queste seggette ancora fu decretato chi la potesse avere intarsiata di avorio, e chi di argento, e chi coperta di pelle; e si determinò a chi fosse lecito il portar oro e gemme nelle scarpette. Quanto allo stesso Elagabalo1898, i suoi gran pensieri cominciarono ad impiegarsi tutti per introdurre ed ampliare il culto del suo dio in Roma. Fece venir da Emesa quel pezzo di pietra a guisa di cono, in cui si facea credere ai popoli insensati che si adorava il dio Sole; e fabbricò per questo un suntuosissimo tempio. Noi il troviamo nelle medaglie1899 intitolato sacerdote del dio Sole Elagabalo. Si era egli messo in capo di ridurre tutta la religione, cioè tutte le superstizioni dei Gentili Romani, al culto di questo solo favorito suo nume. Pretendeva in oltre, come lasciò scritto Lampridio pagano, di tirare ad onorar questo dio anche la religion de’ Giudei e de’ Samaritani, e infin la divozion de’ Cristiani: dal che certo erano ben lontani i nemici dell’idolatria, e massimamente gli adoratori di Gesù Cristo. Pensava ancora di trasportare in quel tempio, e forse anche trasportò, tutto quello che di più sacro e raro si trovava negli altri tempi, come il fuoco di Vesta, la statua di Cibele, lo scudo di Marte, il Palladio, e simili altre superstiziose memorie della divozion de’ Gentili. Se queste novità e violenze dispiacessero ai Romani, amanti degli antichi falsi loro dii e delle inveterate loro superstizioni, facilmente ognuno sel può figurare. E un gran dire dovea essere in Roma, al mirare tolta la mano al suo Giove altitonante da questa forestiera divinità. Abbiamo ancora da Erodiano che Elagabalo intorno a quel suo tempio fece ergere molti altari, ne’ quali ogni dì sagrificava una gran copia di buoi e di pecore, e si spandevano infiniti fiaschi di vino del migliore e più vecchio che fosse in Roma, vedendosi scorrere a ruscelli quel vino e quel sangue per terra. Bisognava che di tanto in tanto i senatori e cavalieri assistessero a quei sagrifizii, e vi facessero anche le funzioni più vili, con tener sulla testa i piatti d’oro e d’argento dorato, ne’ quali si mettevano le viscere delle vittime, e coll’andar vestiti alla forma dei sacerdoti orientali. Intanto l’imperadore conduceva i cori intorno agli altari fra lo strepito d’innumerabili musicali strumenti, e colle donne di Fenicia che ballavano battendo cembali e timpani. Ed ecco ove era giunta la maestà di un imperadore e di un senato romano.