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19 annali d'italia, anno vi. 20

toriani destinati a far la guardia dell’imperadore e del palazzo pubblico. Colla sua propria borsa supplì egli per ora, e nell’anno prossimo vi provvide con un altro ripiego. Dione ci dà il registro di tutta la fanteria e cavalleria che allora continuamente era mantenuta in piedi dalla repubblica romana; e questa andò poi crescendo e calando, secondo la diversità de’ bisogni, o pur della pubblica felicità. Il pagamento allora de’ soldati era ben superiore a quel d’oggidì.


Anno di Cristo vi. Indizione ix.
Cesare Augusto imper. 50.


Consoli

Marco Emilio Lepido e Lucio Arruntio.


Il Panvinio ed altri hanno scritto, che a questi consoli ne furono sostituiti nel dì primo di luglio due altri cioè Cajo Ateio Capitone e Cajo Vibio Capitone. Ma non è certo il fatto. Essendo mancante la iscrizione rapportata da esso Panvinio, può restar sospetto che tai consoli appartengano ad un altro anno. Vedemmo accresciute da Augusto le paghe ai soldati1. Per soddisfare a tali spese, per le quali non era bastante il privato erario d’Augusto, e nè pure il pubblico, si pensò a mettere un nuovo aggravio. Fu dato ordine a tutti i senatori di esporre il loro parere in iscritto. In ultimo col fingerne uno già meditato da Giulio Cesare, si decretò che da lì innanzi si pagasse la vigesima parte delle eredità e dei legati, eccettuate quelle che pervenivano a’ figliuoli ed altri stretti parenti, e quelle de’ poveri. Sebbene può dubitarsi, se tale eccezione venisse dipoi mantenuta da tutti i susseguenti imperadori: certo è, che questo pesante aggravio rincrebbe assaissimo al popolo romano, e, secondo l’uso delle cose umane, se fu facile l’introdurlo, riuscì poi difficilissimo il levarlo. E però nelle antiche iscrizioni s’incontra talvolta l’uffizio di chi era[p. 20] impiegato in raccogliere questo tributo. Ai lamenti del popolo se ne aggiunsero dei più gravi nell’anno presente per cagione d’una fiera carestia che afflisse la città di Roma2. Oltre ad altre provvisioni e spese fatte da Augusto in aiuto de’ cittadini poveri, fu preso lo spediente di cacciar fuori di città i gladiatori e gli schiavi condotti per esser venduti, e la maggior parte de’ forestieri: la qual somma di persone ascese a più di ottantamila. Finita poi quella angustia, cadde in pensiero ad Augusto di abolir l’uso introdotto del frumento, che dai granai del pubblico si donava alla plebe, e di cui talvolta erano partecipi dugento e più mila persone, parendo a lui, che per cagione di questa liberalità si trascurasse l’agricoltura. Non mutò poi questo uso, perchè pericoloso sarebbe stato anche il solo tentarlo; ma attese ben da lì innanzi a far più coltivar le campagne, e volea nota di tutti gli aratori, non meno che di tutti i negozianti e del popolo. Più frequenti divennero in questi tempi gli incendii in Roma, originati forse da chi cercava coi rubamenti di sovvenire alla fame. Stabilì pertanto il provvido Augusto sette corpi di guardia, chiamati i Vigili, che la notte battessero la pattuglia: impiego, che egli pensava di abolire in breve; ma ritrovato utile, anzi necessario, fu dipoi continuato anche sotto gli altri imperadori.

Diversi guai parimente si provarono nelle provincie del romano imperio in quest’anno per le sedizioni e ribellioni dei popoli3. In Sardegna, nell’Isauria e nella Getulia dell’Africa, ebbero delle faccende i soldati romani, per tenere in freno quelle barbare genti. Seguitò la guerra in Germania. Tiberio Cesare era ivi generale dell’armata romana. Ma per attestato di Dione niuna rilevante impresa vi fece, quantunque sì Augusto ch’egli prendessero, il primo, il titolo d’imperadore per la quindicesima volta, ed il se-

  1. Dio., lib. 55.
  2. Sveton. in August., cap. 42.
  3. Dio., Histor. lib. 55.