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ecco terminate le grandezze di Settimio Severo imperadore, che di bassa fortuna giunse al governo di un vastissimo impero, di mirabil penetrazion di mente, principe lodato anche all’eccesso pel suo raro valore, e per tante sue vittorie, implacabile verso chi cadeva dalla sua grazia, grato e liberale verso gli amici, amator delle lettere, avido del danaro che raccoglieva per tutte le vie, per ispenderlo poi non già per sè, poichè egli si contentava di poco, ma pel pubblico. Avea egli rifatte tutte le più insigni fabbriche di Roma1761, con rimettervi il nome dei primi fondatori. Dione1762 diversamente scrive ch’egli vi mise il suo. Altre fabbriche suntuose fece di pianta, e liberale fu verso il popolo, ma più verso i soldati; e pure con tante spese lasciò un gran tesoro in cassa ai figliuoli, tanto frumento ne’ pubblici granai, che potea bastar per sette anni a mantener i soldati, e chi del popolo ricevea gratis il grano, e tanto olio nei magazzini della repubblica, che per cinque anni potea soddisfare al bisogno, non dirò solamente di Roma, ma di tutta l’Italia. La sua rapacità nondimeno, e più la sua crudeltà guastarono ogni suo merito e pregio. E pure vennero tempi sì cattivi, che fu desiderato il suo governo, e si disse, come d’Augusto, che egli o non dovea mai nascere, o non mai morire. Sotto di lui fiorirono le lettere, e visse il maggiore dei Filostrati; e si crede che vivesse anche Diogene Laerzio, autore della bella opera delle Vite de’ filosofi, oltre alcuni altri, de’ quali abbiamo perduto i libri. Morto dunque Severo Augusto, Marco Aurelio Antonino suo maggior figliuolo, soprannominato dipoi Caracalla, che si trovava all’armata, in tempo che i Britanni barbari aveano ricominciata la guerra1763, marciò contra di loro, non già per disertarli, ma per mettere tal terrore in essi, che abbracciassero la pace, altra voglia non allignando in suo cuore, che quella di tornare il più presto possibile alle delizie di Roma. Stabilì dunque una pace, non quale si conveniva ad un romano imperadore, ma quale la prescrissero que’ Barbari, con restituir loro il paese ceduto, ed abbandonare i luoghi fortificati dal padre. I suoi iniqui maneggi, perchè i soldati riconoscessero lui solo per imperadore ad esclusione di Publio Settimio Geta, suo minor fratello, dichiarato, siccome vedemmo, anch’esso Imperadore Augusto, non sortirono l’effetto ch’egli desiderava. Giurarono i soldati fedeltà all’uno e all’altro; e tanto si adoperò Giulia Augusta lor madre, e tanto dissero i comuni amici, che i due fratelli si unirono insieme, in apparenza nondimeno; perciocchè Caracalla, il qual pure godea se non tutta l’autorità del comando, certamente la maggior parte, da gran tempo covava in cuore il maligno pensiero di voler sedere solo sul trono cesareo. Ma finchè Geta si trovò in mezzo all’esercito, che l’amava forte, non osò mai di levargli la vita. Abbiamo bensì da Dione1764, ch’egli tolse a Papiniano la carica di prefetto del pretorio, alzandolo forse al grado senatorio, e fece ammazzare Evodo che era stato suo balio, ed avea prestato a lui grande aiuto per levar di vita Plauziano. Del pari tolse di vita Castore, che già vedemmo mastro di camera di suo padre. Mandò poscia ordini, perchè fosse uccisa Plautilla sua moglie, e Plauto o Plauzio di lei fratello, relegati nell’isola di Lipari. Erodiano aggiugne che fece anche morir que’ medici che non l’aveano voluto ubbidire per sollecitar la morte del padre; e molti altri ch’erano stati de’ più cari ed onorati appresso il medesimo suo genitore. Con tali scene di crudeltà diede principio Caracalla al suo governo, e passato dipoi il mare colla madre, col fratello e coll’armata, accompagnato dai voti degli adulatori, sen venne a Roma, dove fu ricevuto con gran