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5 | ANNALI D'ITALIA, ANNO I. | 6 |
lasciata, nulla d’importante facea, che non fosse conforme all’intenzione e ai desiderii di lui. Tuttavia per un tratto di fina politica (chè è ben lecito il pensare così) andava l’accorto imperadore di tanto in tanto dolendosi del grave peso imposto sulle sue spalle, e facea intendere l’ansietà di scaricarsene, per morir da privato. Arrivò sino a proporlo in senato; ma egli dovea ben sapere, che non correa rischio d’essere esaudito. Ed in fatti così fu. S’unirono le voci de’ senatori a pregarlo, per non dire a costringerlo, che continuasse nella fatica del comando finchè vivesse. Allora s’indusse ben egli con tutta modestia ad accettar questo carico, ma con impetrare che solamente per dieci anni avvenire durasse un tale aggravio. Finiti questi, e chiesta di nuovo licenza, s’accordò in cinque altri, e poscia in dieci, tanto che senza mai cessare d’essere signore del mondo romano, e con apparenza di comandare, solo perchè così volevano il senato ed il popolo, terminò poi felicemente nel comando i suoi giorni. Nè mancò chi gli succedesse nell’incominciato onore e in quella signoria, la quale a poco a poco nel proseguimento pervenne all’intero despotismo e talvolta alla tirannia.
In tale stato si trovava nell’anno presente Roma sotto Augusto imperadore, nè la di lei potenza si stendeva già sopra tutto il mondo, come l’adulazione talvolta sognò; ma bensì nella miglior parte di Europa, e in moltissime provincie non meno dell’Asia che dell’Africa. Era nato Augusto sotto il consolato di Cicerone e di Cajo Antonio, cioè l’anno sessantatre prima dell’Era cristiana; e però nel presente, in cui essa Era ebbe principio, correva l’anno sessantesimoquarto dell’età sua, e l’anno XXIII della sua tribunizia podestà, e il XLV del suo principato. Giacchè niun figlio maschio avea a lui prodotto Livia sua moglie, era già egli ricorso al ripiego dell’adozione, per desiderio di perpetuar la sua famiglia, e di trasmettere in un figlio anche la dignità imperiale.[p. 6] Avea egli due nipoti, figliuoli di Marco Agrippa e di Giulia sua figliuola, donna famosa per la sua impudicizia, e in questi tempi a cagion di tale infamia relegata nell’isola Pandataria. L’uno Cajo e l’altro Lucio nominati, aveano già talmente conseguito l’amore d’Augusto sì in riguardo al sangue che scorrea lor nelle vene, che per le loro belle qualità, che gli aveva adottati amendue per figliuoli, innestandoli nella famiglia Giulia, e dando loro il cognome di Cesare. L’uno d’essi, cioè Cajo, fu1 nell’anno presente alzato alla dignità più eminente, che dopo l’imperiale dar potesse allora la repubblica romana, cioè al consolato. L’altro console fu Lucio Emilio Paolo, cognato d’esso Cajo, perchè marito di Giulia sua sorella, donna, che per aver imitata la madre Giulia nella disonestà, soffrì anch’essa un eguale castigo. Militava in questi tempi Cajo Cesare console per ordine d’Augusto suo padre, nella Siria, ossia nella Soria, contro de’ Parti. Questa era allora la sola guerra che tenesse in esercizio l’armi romane; perciocchè Augusto, tra perchè vecchio, e perchè signore di gran senno, il più che potea s’andava studiando di mantener la pace nell’imperio, senza curar molto l’ambiziosa gloria de’ conquistatori. Assai vasto era il dominio de’ Romani per appagar ogni sua voglia.
Ora in quest’anno si dee fissare il principio dell’Era cristiana volgare, di cui comunemente ci serviamo oggidì. Non fu già essa affatto ignota ai primi secoli della Chiesa; ma il merito d’averla messa in qualche credito in Occidente, è dovuto a Dionigi Esiguo, ossia il Picciolo, monaco assai dotto, che morì circa l’anno 540 nella Chiesa romana, e poscia a Beda, celebre scrittore d’Inghilterra, che nel secolo ottavo usandola, coll’esempio suo la rendè poi familiare fra i Latini. S’ingannarono amendue; ma non c’inganniamo noi in mettere sotto i consoli suddetti il principio di questa. Il cardinal Baronio, che stabilì senza fallo l’immortalità