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col tempo imperadore. Avea quest’ultimo calcati vari posti militari, e si trovava di quartiere nella Dacia; ma per alcune relazioni de’ suoi malevoli Marco Aurelio il levò di là. Pompejano, che ne conosceva il valore e il merito, il volle per suo ajutante, ed egli salì con tal congiuntura in sì fatta riputazione, che meritò di essere creato senatore. Anzi chiaritosi l’imperadore che i sospetti della di lui onoratezza erano proceduti da mere calunnie, maggiormente dipoi l’amò, e il promosse ai primi onori. Attesta Dione1284, che in qualche battaglia i Marcomanni furono superiori ai Romani, e che in una d’esse perdè la vita Marco Vindice prefetto del pretorio, a cui l’Augusto Marco Aurelio fece alzare tre statue in Roma. Un altro de’ suoi prefetti del pretorio fu Rufo Basseo, poveramente nato, e che nè pure avea studiato lettere. La sua fortuna, il suo valore, la sua bontà compensarono i difetti della nascita, e l’alzarono in fine a grado così sublime.
Anno di | Cristo CLXXII. Indizione X. ELEUTERIO papa 2. MARCO AURELIO imperad. 12. |
Consoli
MASSIMO e ORFITO.
Quai prenomi e nomi avessero questi due consoli, non si è potuto accertatamente scoprire fin qui. Nell’anno presente, per quanto sembra risultar dalle medaglie1285, la vittoria accompagnò il valore dell’armi romane nella guerra coi Marcomanni. In esse comparisce la Vittoria Germanica, la Germania soggiogata, e truovasi anche il titolo di Germanico dato a Marco Aurelio. Quel solo che non si sa intendere, punto non si vede moltiplicato il titolo d’imperadore ad esso Augusto, come pur solea praticarsi dopo qualche insigne vittoria. Può anche mettersi in dubbio, s’egli per anche ricevesse il cognome di Germanico. Ma se non sappiamo il quando, abbiamo almen sicure notizie da Capitolino1286 e da Dione1287, ch’egli ridusse i Marcomanni al Danubio, e che nel voler essi passare quel gran fiume, diede loro una solenne rotta, e liberò la Pannonia dal giogo de’ Marcomanni, Sarmati e Vandali. Parte del bottino fatto in quella fortunata azione, siccome composto di roba tolta ai sudditi della Pannonia, volle che fosse restituita ai poveri paesani. Del resto pesatamente procedeva il savio imperadore in sì pericolose congiunture, senza voler azzardare le battaglie a capriccio e sapeva temporeggiare per cogliere i vantaggi. Che se negli affari civili nulla mai determinava senza averli conferiti prima co’ suoi consiglieri, molto più ciò praticava in quei della guerra, dove la prudenza ed accortezza ottien più d’ordinario che la forza. Nè s’intestava del suo parere; solendo dire: Più conveniente è ch’io segua il consiglio di tanti e sì saggi amici, che tanti e sì saggi amici seguitino il parere di me solo. Per altro era egli costante nelle fatiche, sebben molti il biasimavano, perchè un filosofo par suo volesse menar la vita fra l’armi e fra i pericoli della guerra: vita che non si accordava punto colle massime degli altri filosofi: pure egli con lettere o colla viva voce facea conoscere giusto e lodevole il suo operare, trattandosi del bene della repubblica, per cui si dee sofferire e sagrificar tutto. Nè per quante lettere gli scrivessero da Roma gli amici, affinchè lasciato il comando ai generali, venisse al riposo, mai non si volle muovere, finchè non ebbe dato fine a questa guerra, che riuscì più lunga di quel che su le prime si credeva.