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mutare, se non in meglio, i costumi, perchè mai non gli andò il fumo alla testa. Vivuto da privato con gran moderazione, saviezza ed affabilità1, maggiormente continuò ad esser tale divenuto Augusto, con ritener lo stesso abborrimento al fasto e alla matta superbia, e con istudiare, tanto superiore come era, di farsi eguale agli altri nobili cittadini: il che, invece di sminuire, accresceva negli altri la stima e l’amore della maestà imperiale. Si faceva egli servire da’ suoi schiavi, come usavano anche i privati; andava alle case degli amici; famigliarmente passeggiava con loro, come se non fosse imperadore; e voleva che cadauno di essi godesse la sua libertà, senza formalizzarsi, se invitati non venivano alla cena, se, andando egli in viaggio, non l’accompagnavano. Costantissimo fu il suo rispetto verso il senato, e trattava coi senatori in quella stessa guisa e colla medesima bontà ch’egli, allorchè era senatore, desiderava d’essere trattato dagli imperatori. Ritenne sempre il costume di render conto di tutto quel che faceva al senato ed anche al popolo, allorchè avea da pubblicar degli editti. E qualor voleva il consolato, o qualche altra carica per sè o per gli figliuoli, la domandava al senato al pari degli altri particolari. Scrive lo stesso Marco Aurelio, suo figliuolo adottivo, d’aver fra l’altre avuta a lui l’obbligazione d’essere spogliato della vanità, appunto dappoichè fu adottato e alzato da lui; perchè Antonino gli andava insinuando, che si potea vivere anche in corte quasi come persona privata: cosa appunto praticata da lui, con altre virtù commemorate da Marco Aurelio.

Grave nell’aspetto, nel medesimo tempo era cortese, gioviale e dolce verso tutti, infin verso i cattivi, ai quali levava il poter più nuocere, ma senza punirli quasi mai col rigor delle leggi. Quanto egli fosse mansueto, tollerante delle ingiurie, e nemico del vendicarsi, già si è accennato di sopra. Serviranno nondimeno[p. 502] alcuni avvenimenti a maggiormente comprovarlo. In concetto di uno dei più famosi sofisti greci2 fu in questi tempi Polemone. La più bella casa che fosse nella città di Smirne era la sua. Si era abbattuto a passar di là Antonino, mentre esercitava la carica di proconsole dell’Asia, e vi andò ad alloggiare. Polemone, che si trovava fuor di città, venuto una notte, ed osservando in sua casa tanta foresteria entratavi senza licenza sua, ne fece tal rumore e tanti lamenti, che il buon Antonino di mezza notte stimò meglio di uscirne, e di cercarsi un altro albergo. Creato ch’egli fu poi imperadore, Polemone venne a Roma, ed ebbe tanto animo di andargli a fare riverenza. Antonino l’accolse colla solita sua cortesia senza che gli turbasse l’animo la memoria del passato, e solamente con galante maniera gli ricordò la sua scortesia, con ordinare che gli fosse data una stanza nel palazzo, e che persona nol facesse sloggiare. Accadde ancora che un commediante andò a lamentarsi ad Antonino, e a chiedere giustizia, perchè il suddetto Polemone l’avea cacciato dal teatro nel bel mezzodì: E me, rispose allora l’imperadore, egli ha cacciato fuor di casa in tempo di mezza notte, e non ne ho fatta querela. Bisogna ben credere che l’alterigia e l’albagia fossero il quinto elemento della maggior parte di que’ decantati sofisti greci di allora. Antonino, a cui premeva forte la buona educazion di Marco Aurelio suo figliuolo adottivo fece venir dalla Grecia Apollonio, non già il Tianeo, ma bensì un filosofo stoico3, ch’era in gran riputazion di sapere allora. Venne costui a Roma, menando seco molti dei suoi discepoli, che graziosamente, per attestato di Luciano4, furono chiamati da Demonatte filosofo cinico Argonauti nuovi, perchè tutti in viaggio menati dalla speranza di divenir tutti ricconi

  1. Eutrop., in Breviar.
  2. Philostrat., in Sophistis.
  3. Capitolinus, in Antonino Pio.
  4. Lucianus, in Demonacte.