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483 | annali d’italia, anno cxxxviii. | 484 |
dell’empia gentilità ad Adriano defunto, siccome vedremo fra poco.
Cresceva intanto la malattia di esso Adriano, e fu in fine dichiarata idropisia, accompagnata da dolori e da un insoffribil tedio, non solo del male, ma anche della vita1. Non si stendeva la potenza di un imperadore a trovarvi rimedio; e quantunque egli ricorresse insino alla magia, neppur questa potè aiutarlo. Disperato adunque, altro più non desiderava, se non di potersi dar la morte da sè stesso, o di riceverla con veleno o con pugnale da altri. Prometteva impunità e danari a chi gli prestasse aiuto in questo; ma niuno si sentiva voglia di ubbidirlo. Importunato con preghiere e minacce il suo medico, questi amò meglio di uccidersi da sè stesso, che di abbreviare la vita al suo principe. Al medesimo fine si raccomandò ad un servo, il quale ne corse a dar l’avviso ad Antonino. Per animarlo alla pazienza, e levargli di capo sì nere fantasie, entrò in sua camera esso Antonino Cesare, accompagnato dai prefetti del pretorio. Veggendosi scoperto, entrò nelle furie Adriano, e comandò che si ammazzasse quel servo. Antonino il salvò, facendo poi credere ad Adriano che il suo ordine era stato eseguito. Oltre a ciò gran guardia gli fece fare per questo, con dire che crederebbe sè stesso reo di omicidio, se avesse tralasciato di conservarlo vivo finchè si poteva2. Invenzione sua anche fu il far venire una donna, che disse ad Adriano d’avere ricevuto ordine da una deità di avvisarlo che sarebbe guarito: e perchè ella non l’avea fatto, era divenuta cieca. Tornò poscia a dirgli, d’avere inteso in altro sogno, che s’ella baciasse le ginocchia ad Adriano, ricupererebbe la vista: e così con facilità avvenne. Si finse ancora cieco nato un uomo, venuto dalla Pannonia, che col toccare Adriano, tornò anch’egli[p. 484] a vedere. Servirono queste imposture a quietare alquanto Adriano; e tanto più che per accidente, o perchè gli fu fatto credere, gli cessò la febbre. Volle egli dipoi essere portato a Baja; ma quivi nel dì 10 di luglio, in età di sessantadue anni, dopo aver detto un assai famoso motto, cioè: I molti medici hanno ucciso l’imperadore, e dopo aver recitato cinque versi sopra l’anima sua, destinata agli orrori dell’inferno, finalmente morì. Prima di morire, chiamò da Roma Antonino, che giunse a tempo di vederlo vivo, sebben Capitolino3 sembra dire ch’egli andò colà solamente per riportarne le ceneri a Roma. Scrive Sparziano, che Adriano odiato da tutti, fu seppellito in Pozzuolo nella villa di Cicerone, dove il suo successore Antonino gli fabbricò un tempio, come ad una deità, dandogli de’ Flamini ed altri sacri ministri. Capitolino, per lo contrario, attesta che le di lui ceneri furono portate a Roma da Antonino, esposte nel giardino di Domizia, e riposte nel suo mausuleo (oggidì castello sant’Angelo), perchè in quello di Augusto non v’era più luogo. Succedette a lui nell’imperio Antonino Pio, di cui parleremo all’anno seguente. E si vuol ben qui ripetere che le lettere fiorirono non poco sotto Adriano imperadore letterato. Abbiam di sopra fatta menzione di Favorino sofista, di Epitteto insigne filosofo della scuola stoica, di Arriano suo discepolo e di Flegonte liberto d’esso Adriano. Oltre ad altri scrittori vivuti allora, de’ quali si son perdute l’opere, furono e son tuttavia in gran credito Svetonio Tranquillo, autore delle vite de’ dodici primi imperadori, e massimamente Plutarco, le cui opere meritano di essere appellate un dovizioso magazzino dell’erudizione greca e latina, e dell’antica filosofia.
- ↑ Dio, lib. 69. Spartianus, in Hadr. Aurelius Victor in Epit.
- ↑ Spartianus, in Hadrian. Aurel.
- ↑ Capitolin., in Marco Aurelio.