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477 | ANNALI D'ITALIA, ANNO CXXXVIII. | 478 |
farsi più copioso. Non poca inquietudine per altra parte gli recava l’osservare, quanto meschina fosse anche la sanità dell’adottato suo figliuolo Lucio Elio, di modo che dicono, che stette poco a pentirsi di aver messo gli occhi sopra di lui, per farsi un successore. Certamente fu più volte udito dire: Ci siamo appoggiati ad una parete rovinosa, ed abbiam gittati via dieci milioni, dati al popolo e ai soldati per la di lui adozione. Anzi coloro che scrissero la vita d’esso Adriano, e nominatamente Mario Massimo, portarono opinione ch’egli sapesse non dovergli sopravvivere questo figliuolo; e ciò per via della strologia, di cui egli si dilettava forte, con dirsi insino, che Adriano, finchè visse, andava scrivendo ciò che ogni dì gli dovea accadere. Noi possiamo ben dispensarci dal prestar fede a queste fandonie, e v’ha contraddizione tra il dire che lo voleva per successore, con sapere nello stesso tempo che questo successore dovea mancare prima di lui. Eppure aggiungono, aver più volte Adriano predetta la morte d’esso Lucio Elio e pensato a provvedersi di un altro successore. Intanto Adriano, secondo il consiglio de’ medici, i quali allorchè non han rimedio ai mali, propongono la mutazion dell’aria, si ritirò a Tivoli, sperando di migliorar di salute con quell’aria migliore. Se si ha da credere a Sparziano, egli mandò Lucio Elio Cesare al governo della Pannonia, dove si acquistò una convenevole riputazione. Ma chi mai può persuadersi ch’egli malsano volesse allontanare da sè un figliuolo anch’esso malconcio di sanità, e destinato a succedergli. Par ben più verisimile, che Sparziano confondesse le azioni e i tempi, e che Lucio Cejonio, prima d’essere adottato, esercitasse la pretura, e governasse dipoi la Pannonia; e che creato Cesare attendesse al governo di Roma. Attesta il medesimo storico, esser egli stato dopo l’adozione talmente in grazia di Adriano, che tutto quel che voleva, lo impetrava dall’imperadore,[p. 478] anche col solo scrivergli delle lettere: il che suppone che potesse anche parlargli. In fatti Aurelio Vittore1 lasciò scritto che Adriano, ritiratosi a Tivoli, permise che Lucio Elio Cesare restasse in Roma. Abbiamo parimente da esso Vittore, che stando l’imperadore in Tivoli, quivi si applicò per divertirsi a fabbricar dei palagi ed altri edifizii, ai quali diede il nome di Liceo, Accademia, Pritaneo, Canopo, Tempe, ed altri. Attese ancora a far de’ buoni conviti, e delle gallerie di statue e pitture, abbandonarsi anche alla lascivia, forse ad imitazione di Tiberio. Il peggio fu che si lasciò trasportare ad imitar Tiberio anche nella crudeltà: ma questo, a mio credere, appartiene solamente all’anno seguente.
Anno di | Cristo CXXXVIII. Indizione VI. IGINO papa 1. ANTONINO PIO imperadore 1. |
Consoli
Camerino e Negro.
Non si è potuto finora accertare quai fossero i prenomi e nomi di questi consoli. Da alcuni per sole conghietture furono appellati Sulpicio Camerino e Quinzio Negro; ma meglio fia l’aspettare che si scuopra qualche marmo che meglio ci istruisca di questa faccenda. Per quanto s’ha dalla cronica antichissima di Damaso2, sul principio di quest’anno san Telesforo papa compiè il corso del suo pontificato colla corona del martirio. Quantunque Adriano niun editto nuovo pubblicasse contra de’ Cristiani, pure in vigore delle precedenti leggi, e per lo mal animo dei sacerdoti gentili, noi sappiamo che sotto di lui moltissimi Cristiani col sangue loro confermarono la fede di Gesù Cristo. Vero è che, per attestato di Eusebio3 e di san Girolamo4, i santi Quadrato ed Aristide