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473 ANNALI D'ITALIA, ANNO CXXXVI. 474

cocchieri, servo di qualche nobile romano1. Il popolo con alte grida fece istanza all’imperadore che gli desse la libertà. Addano in iscritto rispose, non essere cosa decente per li Romani il dimandare, che l’imperadore dia la libertà ad un servo altrui, o forzi il padrone a dargliela. Ripigliò Adriano in Roma le sue solite maniere di vivere. Fra gli altri suoi usi, andava spesso ai pubblici bagni, e si lavava con gli altri del popolo2. Gli venne un dì osservato un veterano, molto ben noto a lui, che fregava la schiena e le altre parti del corpo ai marmi del bagno. Gliene dimandò il perchè: Perchè non ho un servo, rispose il soldato, che mi possa fregare. Adriano gliene donò alcuni, ed anche le spese in vita. Risaputosi ciò, l’altro dì vennero molti vecchi a far lo stesso, sperando un egual trattamento. Ordinò Adriano che si fregassero l’un l’altro. Fece molti buoni ordini. Che non fosse lecito ai senatori il prendere nè direttamente nè indirettamente appalto alcuno di gabelle. Che fosse vietato ai padroni l’uccidere i loro servi, cioè gli schiavi (il che ne’ tempi addietro era permesso ai Romani) volendo che se si trovavano rei, fossero condannati dai giudici. Soffrì nondimeno che tenessero prigioni private per li servi e liberti. Voleva che i senatori, uscendo in pubblico, sempre portassero la toga, eccettochè la notte. Tassò le sportole ai giudici, riducendole all’antica moderazione. Ripudiò le eredità lasciategli da persone ch’egli non conosceva; ed anche conoscendole, se v’erano de’ figliuoli, le rifiutò. Dilettossi forte della caccia, ed amò sì fattamente alcuni de’ suoi cavalli e cani, che fece far loro dei sepolcri. Talvolta nelle cacce ammazzò orsi, lioni ed orse; tanta era la sua destrezza. Non voleva che i suoi liberti avessero alcuna autorità, nè si credesse che potessero qualche cosa presso di lui, perchè attribuiva a questa sorta di gente la maggior[p. 474] parte dei disordini passati sotto i precedenti Augusti. Osservò egli una volta, che uno di costoro passeggiava in mezzo a due senatori. Mandò tosto uno de’ suoi domestici a dargli una guanciata, e a dirgli: Guardati di camminar del pari con persone, delle quali tu puoi tuttavia divenire schiavo. Mirabile eziandio parve la sua moderazione, perchè quantunque1037 infinite fabbriche facesse per tutto l’imperio romano, non volle che si mettesse il suo nome, se non nel tempio alzato a Trajano. Riedificò in Roma il Panteon, lo steccato del Campo Marzio, la basilica di Nettuno, molti templi, la piazza di Augusto, il bagno di Agrippa: contuttociò d’ordine suo fu ivi rimesso il nome dei primi fondatori. Fabbricò sopra il Tevere il ponte chiamato di Adriano, oggidì ponte sant’Angelo; e il suo sepolcro vicino al Tevere che ora si chiama castello sant’Angelo; e il tempio della Buona Dea. Fece anche un emissario al lago Fucino. Tutte queste azioni ho io raccolte sotto quest’anno, benchè spettanti a vari tempi, acciocchè sempre più si conosca qual imperadore fosse Adriano.



Anno di Cristo CXXXVI. Indizione IV.
Telesforo papa 10.
Adriano imperadore 20


Consoli


Lucio Cejonio Commodo Vero, e Sesto Vetuleno Civica Pompejano.


Lucio Cejonio, primo fra questi due consoli, quel medesimo è che Adriano adottò per suo figliuolo, e destinò alla succession dell’imperio. Resta finora in disputa l’anno preciso, in cui seguisse tale adozione. L’esser egli nominato Lucio Cejonio Commodo nei fasti e nelle inscrizioni, cioè portando egli i nomi propri della sua famiglia sul principio di quest’anno, fa abbastanza intendere ch’egli non era per anche giunto alla figliuolanza di Adriano. Adottato da lui, prese il nome di Lucio Elio Commodo, e il titolo

  1. Dio., lib. 69.
  2. Spartianus, in Hadriano.