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451 ANNALI D'ITALIA, ANNO CXXIII. 452

que’ Barbari, gente feroce e temuta, ordinò che si fabbricasse un muro lungo ottanta miglia, il qual dividesse i confini romani dalle terre d’essi Barbari. Credono gli eruditi Inglesi, che questo muro fosse nella provincia del Northumberland verso il fiume Tin, e che ne restino tuttavia le vestigia. Ebbe fra le altre cose in uso Adriano di tener delle spie, non tanto per saper tutto ciò che si faceva in corte, quanto ancora per indagar tutt’i fatti particolari de’ suoi cortigiani ed amici. Al qual proposito si racconta, che avendo una dama scritto al marito, lamentandosi dello star egli tanto tempo lontano, e del perdersi nei bagni ed in altri piaceri: lo seppe Adriano, e venuto quel tale a prendersi commiato, gli disse ch’era bene l’andare e l’abbandonare ormai i bagni e i piaceri. Il cavaliere non sapendo di che mezzi si servisse Adriano per iscoprire i fatti altrui, allora rispose: L’ha forse mia moglie scritto anche a voi, siccome ha fatto a me? Ora dovette Adriano essere avvisato da Roma, che Svetonio Tranquillo, autore delle Vite dei dodici primi Cesari, che allora serviva in corte nel grado di segretario delle lettere, e Setticio Claro, prefetto del pretorio, ed altri, praticavano troppo familiarmente con Sabina sua moglie, non mostrando quella riverenza che si dovea alla casa dell’imperadore. Di più non vi volle, perchè egli levasse loro le cariche. Aggiungono, ch’era anche disgustato della stessa Sabina sua moglie, perchè gli parea donna aspra e schizzinosa: laonde ebbe a dire, che s’egli fosse stato persona privata, l’avrebbe ripudiata. Succedette in questi tempi qualche fastidiosa sedizione in Egitto. Adoravano que’ popoli il dio Apis sotto figura di un bue macchiato; e morendo questo, si cercava un vitello che avesse le medesime macchie. Dopo molti anni trovato questo dio bestia, gran gara, anzi un principio di guerra insorse fra le città, pretendendo molte d’esse di doverlo nutrire nel loro tempio. A questo[p. 452] avviso turbato Adriano, dalla Bretagna tornò nella Gallia, e venne a Nimes in Provenza, dove d’ordine suo fu fabbricata una maravigliosa basilica in onore di Plotina Augusta, già moglie di Trajano. A lui ancora, o pure ad Antonino, vien attribuita la fabbrica dell’anfiteatro, in parte ancora sussistente, ed un ponte ed altre antichità di quella città. Di là poi si portò in Ispagna, e passò il verno in Tarragona.


Anno di Cristo CXXIII. Indizione VI.
Sisto papa 7.
Adriano imperadore 7.


Consoli


Quinto Aprio Petino e Lucio Venulejo Aproniano.


I più degl’illustratori de’ Fasti consolari danno il nome di Cajo Ventidio Aproniano al secondo di questi due consoli. Io, fondato sopra un embrice o mattone, tuttavia esistente nell’insigne museo del Campidoglio1, l’ho appellato Lucio Venulejo. Ma in un altro mattone, riferito dal Fabretti2, egli ha il prenome di Tito, e non già di Lucio. Sembra che sotto Nerva s’introducesse l’uso continuato di poi per molti anni, d’imprimere ne’ mattoni, e in altri materiali di terra cotta, oltre al nome della bottega o sia della fornace, quello ancora de’ consoli per denotar l’anno. Passò Adriano, siccome già accennai, il verno in Tarragona, dove egl’incontrò un pericoloso accidente. Mentre egli un dì passeggiava per un giardino, gli venne incontro furiosamente colla spada nuda un servo del padrone di quella casa. Adriano bravamente si difese, e fermato il micidiale, consegnollo alle guardie3. Trovossi che il cervello avea data volta a costui. L’imperadore con esempio di rara moderazione il fece curar dai medici, nè

  1. Thesaurus Novus Inscription., pag. 321, num. 6.
  2. Fabrettus, Inscription., pag. 509.
  3. Spartian., in Hadriano.