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445 ANNALI D'ITALIA, ANNO CXXI. 446

giudicato degno di morte dal senato. Ma sotto i precedenti cattivi Augusti, un solo lor cenno bastava a far che il senato proferisse la sentenza di morte contra di chi incorreva nella loro disgrazia. Se non falla Eusebio1, in quest’anno ovvero nel seguente, un fiero tremuoto diroccò la città di Nicomedia, e ne patirono gran danno tutte le città circonvicine. Adriano generosamente inviò colà grandi somme di danaro per rifarle.


Anno di Cristo CXXI. Indizione IV.
Sisto papa 5.
Adriano imperadore 5.


Consoli


Lucio Annio Vero per la seconda volta e Aurelio Augurino.


Fu Lucio Annio Vero avolo paterno di Marco Aurelio filosofo ed imperadore, di cui parleremo a suo tempo. Osservossi2 in tutte le maniere di vivere d’Adriano Augusto una continua varietà, e una costante incostanza. Ora crudele, ora tutto clemenza: ora serio e severo, ora lieto buffone: avaro insieme e liberale: sincero e simulatore. Amava facilmente, ma facilmente passava dall’amore all’odio. S’è veduto com’egli trattò l’architetto Apollodoro, e pure abbiam da Sparziano, che non si vendicò di chi gli era stato nemico, allorchè menava vita privata. Divenuto imperadore, solamente non guardava loro addosso. E vedendo uno che più degli altri se gli era mostrato contrario, disse: L’hai scappata. Tutto ciò può essere, se non che per testimonianza del medesimo storico, Palma e Celso consoli, stati sempre suoi nemici nella vita privata, abbiam veduto qual fine fecero. In quest’anno gli venne troppo a noia Celio Taziano, che già dicemmo alzato da lui al grado di prefetto del pretorio, in guisa che, come dimentico di averlo avuto per tutore, e[p. 446] per gran promotore della sua assunzione al trono, ad altro non pensava che a levarselo d’attorno. Non poteva sofferire la grand’aria di potenza che si dava Taziano; e perciò gli corse più volte per mente di farlo tagliare a pezzi. Se ne astenne, perchè era fresca la memoria dei quattro consolari uccisi, e l’odio che gliene era provenuto. Ma con tutto il suo guardarlo di bieco, non otteneva che Taziano chiedesse di depor quella carica. Gli fece per tanto dire all’orecchio, che era bene il chiederlo; ed appena ne udì l’istanza, che conferì la carica di prefetto del pretorio a Marzio Turbone, richiamato dalla Pannonia e Dacia. Creò senatore Taziano, dandogli anche gli ornamenti consolari, e dicendo che non avea cosa più grande con cui premiarlo. Anche Simile, l’altro prefetto del pretorio, siccome dissi all’anno 118, dimandò il suo congedo. Entrò nel suo posto Setticio Claro. Sì Turbone che Claro erano due personaggi di raro merito; ma anch’essi provarono col tempo, quanto instabile fosse l’amore e la grazia di questo imperadore. Per questa mutazion d’uffiziali parendo oramai ad Adriano d’aver la vita in sicuro, perchè di loro non si fidava più, andò a sollazzarsi nella Campania, dove fece del bene a tutte quelle città e terre, ed ammise all’amicizia sua le persone più degne ch’egli trovò in quel tratto di paese.

Ritornato a Roma Adriano, come se fosse persona privata, interveniva alle cause agitate davanti ai consoli e ai pretori; compariva ai conviti de’ suoi amici, e se questi cadevano malati, due ed anche tre volte il giorno andava a visitarli. Nè solamente ciò praticò coi senatori; si stesero le visite sue anche ai cavalieri romani infermi, e insino a persone di schiatta libertina, sollevando tutti con buoni consigli, ed aiutando chiunque si trovava in bisogno. Gran copia d’essi amici volea sempre alla sua mensa. Alla suocera sua, cioè a Matidia

  1. Euseb., in Chron.
  2. Spartianus, in Hadriano.