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417 ANNALI D'ITALIA, ANNO CXIII. 418

non ebbe poi il contento di vederla prima di morire. Nella gran copia delle figure illustrate dalla penna del Fabretti, rappresentata si vede la guerra di Trajano contra ai Daci. Proseguendo intanto Trajano il suo viaggio, arrivò con un poderosissimo esercito ai confini dell’Armenia. Allora i re e principi di quelle contrade1 si portarono a gara a visitarlo con ricchissimi presenti, fra’ quali si vide un cavallo così ben ammaestrato, che s’inginocchiava e chinava il capo a’ piedi di chi si voleva. Abgaro re, o principe di Edessa nella Osroena, parte della provincia della Mesopotamia, gl’inviò regali e proteste di amicizia, ma senza venire in persona, perchè non volea perdere la buona grazia di Cosroe re de’ Parti. Tuttavia in sua vece gli mandò2 Arbando suo figliuolo, giovane di bellissimo aspetto, che s’insinuò così bene nel cuor di Trajano, che quando poi questo imperadore passò per Edessa, Abgaro andatogli incontro, agevolmente, per intercession del figliuolo, ottenne il perdono. Partamasire s’era già messo in possesso dell’Armenia con favore de’ Parti, ed avea preso il titolo di re. Con questo titolo scrisse egli lettera di sommessione a Trajano; ma, non vedendo venire risposta, ne tornò a scrivere un’altra, senza più intitolarsi re; supplicandolo di voler inviare a lui Marco Giunio, governatore della Cappadocia, per trattar seco d’accordo. Trajano gl’inviò il figliuolo di Giunio, e intanto continuò il suo viaggio, con impossessarsi del paese, dovunque passava, senza trovarvi resistenza alcuna. Arrivato a Satala, città dell’Armenia minore, venne ad inchinarlo Anchialo re degli Eniochi, popoli della Circassia verso il mar Nero. Trajano il ricevè con grande onore, e il rimandò carico di regali. Allora fu, che anche Partamasire, considerando il brutto[p. 418] aspetto de’ suoi affari, probabilmente consigliato dal figliuolo di Giunio a rimettersi nella clemenza cesarea, ottenuto il salvocondotto, venne a presentarsi a Trajano. Nol volle egli ricevere, se non assiso sul trono in mezzo al campo. Se gli accostò Partamasire, e depose a’ suoi piedi il diadema senza proferir parola: il che veduto dall’immensa corona dei soldati di Trajano, si alzò un sì allegro strepitoso grido di Viva, che quel principe atterrito fu in procinto di fuggirsene, se non si fosse veduto attorniato da sì gran copia d’armati. Chiesta poi una particolare udienza da Trajano, l’ottenne egli bensì, ma non già il diadema, siccome egli dimandava e sperava coll’esempio di Tiridate a’ tempi di Nerone. Era ben diverso dal codardo Nerone il coraggioso Trajano. Ne uscì in collera Partamasire; ma risalito sul trono Trajano, il fece richiamare, acciocchè pubblicamente si riconoscesse il ragionamento seguito fra loro in disparte. Lamentossi Partamasire d’essere trattato come un prigioniero, quando egli era volontariamente venuto, e fece nuova istanza, per impetrare il diadema dalle mani di Cesare, a cui giurerebbe omaggio. Trajano gli rispose, che essendo l’Armenia pertinenza del romano imperio, non voleva concederla a chicchessia, ma bensì mettervi un governatore; e licenziatolo, il fece tosto partire, scortato da un corpo di cavalleria, acciocchè non potesse manipolar nel ritorno qualche intrico colla gente del paese. Si venne dunque alla guerra, di cui altro non sappiamo, se non che Partamasire, dopo essersi sostenuto, finchè potè, coll’armi alla mano, finalmente fu ucciso, e tutta l’Armenia restò in potere dell’Augusto Trajano, il quale ne fece una provincia del romano imperio.

  1. Dio., lib. 68.
  2. Idem, in Excerptis Valesian.