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369 | ANNALI D'ITALIA, ANNO XCVI. | 370 |
questa maniera, cioè col fine ordinario dei tiranni terminò sua vita Domiziano, in età di anni quarantacinque. Del suo corpo niuno si prese cura, fuorchè Filide sua nutrice, che segretamente in una bara plebea lo fece portare ad una sua casa di campagna, e dopo averlo fatto bruciare, secondo l’uso d’allora, seppe farne mettere le ceneri, senza che alcuno se ne avvedesse, nel tempio della casa Flavia, mischiandole con quelle di Giulia Sabina Augusta, figliuola di Tito imperadore suo fratello1. Fu questa Giulia maritata da esso Tito a Flavio Sabino suo cugino germano; ma invaghitosene, Domiziano, vivente ancora Tito, l’ebbe alle sue voglie. Divenuto poi imperadore, dopo aver fatto uccidere il di lei marito, pubblicamente la tenne presso di sè, con darle il titolo di Augusta, e farle un tal trattamento che alcuni la credettero sposata da lui2. Ma, perchè gravida del marito egli volle farla abortire, cagion fu di sua morte. Non ho detto fin qui, ma dico ora che Domiziano nella libidine non la cedette ad alcuno de’ più viziosi. Nè occorre dire di più.
Quanto al basso popolo di Roma3, non mostrò egli nè gioia nè dolore per la morte di sì micidial regnante, perchè sfogavasi di ordinario il di lui furore solamente sopra i grandi, nè toccava i piccoli. I soldati sì ne furono in grande affanno e rabbia, perchè sempre ben trattati, e smoderatamente arricchiti da lui; però voleano tosto correre a farne vendetta: ma i lor capitani ne frenarono que’ primi furiosi movimenti, benchè non potessero dipoi impedire quanto soggiugnerò appresso. All’incontro il senato, contra di cui specialmente era infierito Domiziano, ne fece gran festa, il caricò di tutti i titoli più obbrobriosi, ed ordinò che si abbattessero la sue statue, e i suoi archi trionfali4; si cancellasse il di lui[p. 370], nome in tutte le iscrizioni, cassando anche generalmente ogni suo decreto. Ancorchè Domiziano non si dilettasse delle lettere e delle arti liberali, a solamente si conti ch’egli gran cura ebbe di rimettere in piedi le biblioteche bruciate di Roma, con raccogliere5 libri da ogni parte, e farne copiare assaissimi da quella di Alessandria: pure fiorirono a’ suoi tempi vari insigni filosofi, fra’ quali massimamente risplendè Epitteto, i cui utili insegnamenti restano tuttavia, ed Apollonio Tianeo, la cui vita, scritta da Filostrato, è piena di favole. Fiorirono anche in Roma l’eccellente maestro della eloquenza Marco Fabio Quintiliano, e Marco Valerio Marziale, poeta rinomato per l’ingegno, infame per gli suoi troppo licenziosi epigrammi. Erano amendue nativi di Spagna. Vissero parimente in que’ tempi Cajo Valerio Flacco, Cajo Silio Italico, de’ quali abbiamo tuttavia i poemi, ma di gusto cattivo; e Decimo Giunio Giuvenale, autor delle satire, poco certamente modeste, ma assai ingegnose e degne di stima.
Terminata dunque la tragedia di Domiziano, cominciò Roma, e seco l’imperio romano, liberato da questo mostro, a respirare, e tornarono i buoni giorni per l’assunzione al trono imperiale di Marco Coccejo Nerva. Era nato Nerva, per quanto ne scrive Dione6, nell’anno 32 dell’era nostra, di nobilissimo casato. L’onestà dei suoi costumi, la sua aria dolce e pacifica, la sua rara saviezza, prudenza ed inclinazione al ben del pubblico, il faceano amare e rispettar da chicchessia. Queste sue belle doti gli ottennero due volte il consolato, cioè nell’anno 71 e nel 90. Mancava a lui solamente un corpo robusto, e una buona sanità, essendo stato debolissimo lo stomaco. Non si accordano gli storici in certe particolarità della sua vita negli ultimi anni di Domiziano. Filostra-