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367 | ANNALI D'ITALIA, ANNO XCVI. | 368 |
quanto i suoi più confidenti liberti, Norbano, e Petronio Secondo, allora prefetti del pretorio, dappoichè ebbero veduto, come per sì lievi motivi egli avea ucciso Clemente suo cugino, e personaggio di tanta probità, e faceva troppo conoscere di non più fidarsi di alcun di loro: assai intesero ch’erano anch’essi in pericolo, e che, per salvar la propria vita, altra maniera non restava che di levarla a Domiziano. Sicchè prendendo bene il filo, la soverchia credenza che professò questo screditato Augusto alle ciarle degli strologi, trasse lui ad esser crudele, e a non fidarsi di alcuno: e questa sua crudeltà e diffidenza costò a lui la vita per mano de’ suoi più cari. Scrive dunque Dione di aver inteso da buona parte1, che Domiziano avesse veramente presa la determinazione di uccider la moglie e gli altri più familiari suoi liberti, e i capitani delle guardie stesse. Subodorata questa sua intenzione, si accinsero essi a prevenirlo, ma non prima di aver pensato a chi potesse succedergli nell’imperio. Segretamente ne fecero parola a varie nobili persone, che tutte, dubitando di qualche trappola, non vollero accettar quella esibizione. Finalmente si abbatterono in Marco Coccio Nerva, personaggio degno dell’imperio, che abbracciò l’offerta. Un accidente fece affrettare la di lui morte, se pur è vero ciò che racconta Dione: perchè Svetonio, più vicino a questi tempi, non ne parla, e lo stesso vedremo raccontato di Commodo Augusto, anch’esso ucciso. Soleva Domiziano per suo solazzo tenere in camera un fanciullo spiritoso di pochi anni. Questi, mentre il padrone dormiva, gli tolse di sotto al capezzale una carta, con cui andava poi facendo dei giuochi. Sopravvenuta Domizia Augusta, gliela tolse, e con orrore trovò quella essere una lista di persone che il marito volea levare dal mondo, e di esservi scritta ella stessa, i due prefetti del pretorio, Partenio mastro di camera, ed[p. 368] altri della corte. Ad ognun di essi comunicato l’affare, fu determinato di non perder tempo ad eseguire il disegno.
Venne il dì 18 di settembre, in cui, secondo gli astrologi, temeva Domiziano di essere ucciso. L’ora quinta della mattina, quella specialmente, era di cui paventava. Però, dopo aver atteso nel tribunale alla spedizione di alcuni processi, nel ritirarsi alle sue stanze dimandò che ora era. Da taluno de’ congiurati maliziosamente gli fu detto, che era la sesta: perlochè tutto lieto, come se avesse passato il pericolo, si ritirò nella sua camera per riposare. Partenio, mastro di camera, entrò da lì a poco per dirgli, che Stefano liberto e mastro di casa dell’ucciso Flavio Clemente, desiderava di parlargli per affare di somma importanza. Costui siccome uomo forte di corpo, e che odiava sopra gli altri Domiziano per la morte data al suo padrone, era scelto dai congiurati per fare il colpo. Ne’ giorni addietro aveva egli finto di aver male al braccio sinistro, e lo portava con fascia pendente dal collo. Entrato egli in tal positura, presentò a Domiziano una carta, contenente l’ordine di una congiura che si fingeva tramata contra di lui, col nome di tutti i congiurati. Mentre era l’imperadore attentissimo a leggerla, Stefano gli diede di un coltello nella pancia. Gridò Domiziano aiuto: un suo paggio corse al capezzale del letto, per prendere il pugnale, oppure la spada, nè vi trovò che il fodero, e tutti gli uscii erano chiusi2. Ma perchè la ferita non era mortale, Domiziano s’avventò a Stefano, si ferì le dita nel volergli prendere il coltello, ed abbrancolatisi insieme caddero a terra. Partenio, temendo che Domiziano la scappasse, aperta la porta, mandò dentro Clodiano Corniculario, Massimo suo liberto, e Saturio capo de’ camerieri, ed altri che con sette ferite il finirono. Ma entrati altri, che nulla sapeano della congiura, e trovato Stefano in terra, l’uccisero. In