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condotto seco Berenice o sia Beronice sua sorella, giovane di bellissimo aspetto, già maritata con Erode re di Calcide suo zio1, e poscia con Polemone re di Cilicia. Se n’invaghì Tito Cesare. Forse anche era cominciata la tresca allorchè egli fu alla guerra contra de’ Giudei. Agrippa ottenne il grado di pretore. Berenice alloggiata nel palazzo imperiale, dopo aver guadagnato Vespasiano a forza di regali, sì fattamente s’insinuò nella grazia di Tito, che sperava ormai di cangiar l’amicizia in matrimonio; e già godeva un tal trattamento e autorità, come s’ella fosse stata vera moglie di lui. Ma perciocchè, secondo le leggi romane, era vietato ai nobili romani di sposar donne di nazion forestiera, o sia barbara (barbari erano allora appellati i popoli tutti non sudditi al romano imperio) o pure perchè i re, tuttochè sudditi di Roma, erano tenuti in concetto di tiranni; il popolo romano altamente mormorava di questa sua amicizia, e molto più della voce sparsa, che fosse per legarsi seco pienamente col vincolo matrimoniale. Ebbe Tito cotal possesso sopra la sua passione, e sì a cuore il proprio onore, che arrivò a liberarsene, con farla ritornare al suo paese. Svetonio2 attribuisce a Tito questa eroica azione, dappoichè egli fu creato imperadore, laddove Dione3 ne parla circa questi tempi. Ma aggiugnendo esso Dione, che Berenice, dopo la morte di Vespasiano, ritornò a Roma, sperando allora di fare il suo colpo, e che, ciò non ostante, rimase delusa, si accorda facilmente l’asserzione dell’uno e dell’altro storico.


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Anno di Cristo LXXVII. Indizione V.
Cleto papa 1.
Vespasiano imperadore 9.


Consoli


Flavio Vespasiano Augusto per la ottava volta, e Tito Flavio Cesare per la sesta.


Fu nelle calende di luglio conferito il consolato a Domiziano Cesare per la sesta volta ed a Gneo Giulio Agricola, cioè a quel medesimo, di cui Cornelio Tacito suo genero ci ha lasciata la vita. Terminò in quest’anno Caio Plinio Secondo4 veronese, i suoi libri della Storia Naturale, e li dedicò a Tito Cesare, ch’egli nomina console per la sesta volta, e dà a conoscere quanto amore quel buon principe avesse per lui, e quanta stima per li suoi libri. S’è salvata dalle ingiurie de’ tempi quest’opera delle più insigni ed utili dell’antichità, perchè tesoro di grande erudizione; ma è da dolersi che sia pervenuta a noi alquanto difettosa, e che per la mancanza d’antichi codici non sia possibile il renderne più sicuro ed emendato il testo. Anche ai tempi di Simmaco camminava scorretta questa istoria, siccome consta da una sua lettera ad Ausonio. Son periti altri libri di Plinio, ma non di tanta importanza, come il suddetto. Abbiamo dalla cronica di Eusebio5, essere stata nell’anno presente, o pure nel seguente, sommamente afflitta Roma da una pestilenza così fiera, che per molti dì si contarono dieci mila persone morte per giorno: se pur merita fede strage di tanto eccesso. Ma questo flagello forse s’ha da riferire all’anno 80, regnando Tito. Verso questi tempi6 bensì capitarono a Roma segretamente due filosofi cinici, che, secondo il loro costume, si faceano belli con dir male d’ognuno. Diogene si appellava l’un d’essi, nome probabilmente da lui preso, per assomigliarsi in

  1. Joseph., Antiq. Judaic., lib. 18.
  2. Sueton., in Tito, cap. 7.
  3. Dio., lib. 66.
  4. Plinius Senior, in Praefatione.
  5. Euseb., in Chron.
  6. Dio., lib. 66.