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307 | ANNALI D'ITALIA, ANNO LXXV. | 308 |
perchè sempre fu moderatissimo in tutto, nè poteva spendere senza necessità, contento di poco. Appariva eziandio chiaramente, quanto egli fosse lontano dal covare con viltà il danaro, perciocchè lo dispensava allegramente e con saviezza in tutti i bisogni del pubblico, e in benefizio de’ popoli. Sapeva regalare chi lo meritava1, sovvenire a’ nobili caduti in povertà; anzi la sua liberalità si stendeva a tutti. Promosse con somma attenzione le arti e le scienze, favorendo in varie maniere chi le coltivava; e fu il primo che istituisse in Roma scuole d’eloquenza greca e latina, con buon salario pagato dal suo erario. Prendeva al suo servigio i migliori poeti ed artefici che si trovassero, e tutti erano partecipi della sua munificenza. A lui premeva specialmente che il minuto popolo potesse guadagnare. A questo fine faceva di quando in quando de’ magnifici conviti; e ad un valente artefice, che gli si era esibito di trasportare con poca spesa molte colonne, diede bensì un regalo, ma di lui non si volle servire, per non defraudare di quel guadagno la plebe. In Roma edificò degli acquidotti, alzò uno smisurato colosso, nè solamente fece di pianta varie fabbriche insigni, ma eziandio rifece le già fatte dagli altri, mettendovi non già il nome suo, ma quel de’ primi fondatori. Erano per cagion de’ tremuoti cadute, o per gl’incendi molto sformate, assaissime città dell’imperio romano. Egli alle sue spese le rifece, e più belle di prima. La stessa attenzione ebbe per fondar delle colonie in varie città, e per risarcir le pubbliche strade dell’imperio2. Restano tuttavia molte iscrizioni3per testimonianza di ciò. Gli convenne per questo tagliar montagne e rompere vasti macigni; e per tutto si lavorava senza salassar le borse de’ popoli. Rallegrava ancora il [p. 308]popolo colla caccia delle fiere negli anfiteatri, ma abborriva i detestabili combattimenti de’ gladiatori. Aggiungasi, per testimonianza di Zonara4, che Vespasiano mai non volle profittar dei beni di coloro che aveano prese l’armi contra di lui, ma li lasciò ai lor figliuoli o parenti. Ed ecco ciò che può servire, non già per assolvere questo principe da ogni taccia in questo particolare, ma bensì per iscusarlo, meritando bene il buon uso che egli facea del denaro, che si accordi qualche perdono alle indecenti maniere da lui tenute per raunarlo. Se non è scorretto il testo di Plinio il vecchio5, abbiamo da lui, che in questi tempi misurato il circondario delle mura di Roma, si trovò esser di tredici miglia dugento passi. Un gran campo occupavano poi i borghi suoi.
Anno di | Cristo LXXV. Indizione III. Clemente papa 9. Vespasiano imperadore 7. |
Consoli
Flavio Vespasiano Augusto per la sesta volta, e Tito Cesare per la quarta.
Nelle calende di luglio furono sostituiti nel consolato Flavio Domiziano Cesare per la quarta volta, e Marco Licinio Muciano per la terza. In gran favore continuava Muciano ad essere presso di Vespasiano6. Naturalmente superbo, e più perchè alzato ai primi onori, sapea ben far valere la sua autorità7. Sopra gli altri della corte pretendea d’essere ossequiato e rispettato. Verso chi gli mostrava anche ogni menomo segno di distinzione in onorarlo, andava all’eccesso in procurargli posti ed avanzamenti. Guai all’incontro a chi, non dirò gli facea qualche affronto od ingiuria, ma solamente lasciava di onorarlo; l’odio