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271 ANNALI D'ITALIA, ANNO LXIX. 272

più lettere di Ottone, che voleva battaglia. Si venne in fatti al combattimento1, che fu sanguinosissimo, credendosi che fra l’una e l’altra parte restassero sul campo estinte circa quarantamila persone, perchè non si dava quartiere. Ma la vittoria toccò all’armata di Vitellio. I generali di Ottone, chi qua chi là fuggitivi, scamparono colle reliquie della lor gente il meglio che poterono, valendosi del favor della notte2. Ma perchè nel dì seguente si aspettavano di nuovo addosso il vittorioso esercito, con pericolo d’essere tutti tagliati a pezzi, gli uffiziali, soldati e lo stesso Tiziano, fratello di Ottone, che si trovarono insieme, s’accordarono di fare una deputazione a Valente e Cecina, per rendersi. Fu accettata l’offerta, ed unitesi le non più nemiche armate, ognun corse ad abbracciare gli amici, a detestare gli odii passati, e condolersi delle morti di tanti. Giurarono i vinti fedeltà a Vitellio, e cessarono tutti i rancori. Portata questa lagrimevol nuova ad Ottone, dimorante in Brescello, non mancarono già i suoi cortigiani di animarlo, con fargli conoscere arrivate già ad Aquileia tre legioni della Mesia, salvate altre buone milizie a lui fedeli, non essere disperato il caso. Ma egli aveva già determinato di finirla, chi credette per orrore di una guerra civile, come attesta Svetonio3, chi per poca fortezza d’animo, e chi per acquistarsi una gloria vana con una risoluzion generosa. Pertanto attese spiritosamente nel resto del giorno a distribuir danaro a’ suoi domestici ed amici, a bruciar le lettere scrittegli da varie persone contra di Vitellio, affinchè non pregiudicassero a chi le avea scritte, e a dar altri ordini per la sicurezza di molti nobili ch’erano alla sua corte4. Prese anche nella notte seguente un po’ di sonno, ma fu disturbato da un rumor delle guardie, [p. 272]che minacciavano la morte a que’ senatori, i quali d’ordine suo erano per ritirarsi, e sopra tutto aveano assediato Virginio Rufo. Uscì Ottone di camera, e con buona maniera calmò quel tumulto. Poscia, sul far del giorno svegliato, intrepidamente si diede un pugnale nel petto, e di quella ferita fra poco morì in età di trentasette anni5. Al suo cadavero bruciato fu data quella sepoltura che si potè, cioè in terra, colla memoria del solo suo nome senza titolo alcuno. Una massa di monete d’oro, trovate sui primi anni del secolo, in cui scrivo, sul territorio di Brescello, fece credere ad alcuni che fossero ivi seppellite in occasion delle disgrazie di Ottone. Benchè usurpator dell’imperio, e screditato per varie sue ree qualità, cotanto era amato dai soldati, che alcuni d’essi, non meno in Brescello, che in Piacenza e in altri luoghi, pel dolore accompagnarono la di lui morte colla propria, secondo la detestabil usanza e frenesia di quei tempi. Dacchè i soldati, ch’erano in Brescello, non poterono indurre Virginio Rufo ad accettar l’imperio, si diedero ai generali di Vitellio. In un fiero imbroglio si trovò allora la maggior parte del senato che Ottone avea lasciato in Modena, perchè dall’un canto temeva oltraggi dall’armi di Vitellio, e dall’altro i soldati di Ottone tenendoli a vista d’occhio, e riputandoli nemici dell’estinto principe, cercavano pretesti per menar le mani contra di loro. Finalmente ebbero la fortuna di salvarsi a Bologna, dove si mostrarono disposti a riconoscere Vitellio; ma per qualche tempo se ne guardarono a cagion di una falsa voce portata da Ceno, liberto già di Nerone, che i vincitori erano poi stati vinti. Da queste paure non si riebbero se non allorchè arrivarono lettere di Valente che riferirono la vera positura degli affari. In Roma, subito che s’intese quanto era succeduto di Ottone, Flavio Sabino, fratello di Vespasiano, fece prestar giuramento dal

  1. Dio., lib. 64.
  2. Plutarc., in Othone.
  3. Sueton., in Othone, cap. 10.
  4. Tacitus, Histor., lib. 2, c. 48.
  5. Plutarcus, in Othone.