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257 ANNALI D'ITALIA, ANNO LXVIII. 258

(appellato scorrettamente da alcuni Sergio) Sulpicio Galba, che prima avea usato il prenome di Lucio, uscito da una delle più antiche famiglie romane, dopo essere stato console nell’anno di Cristo 55, e dopo aver con lode in vari onorevoli governi dato saggio della sua prudenza e del suo valor militare, si trovava allora in età di settantadue anni1. Ne sperò buon governo il senato romano, ed ancorchè si venisse a sapere che egli era uom rigoroso ed inclinato alla avarizia, male famigliare di non pochi vecchi; pure il merito di avere in lontananza cooperato ad abbattere l’odiatissimo Nerone, fece che comunemente fosse desiderato il suo arrivo a Roma. Partissi egli di Spagna, e a piccole giornate in lettiga passò nelle Gallie, inquieto tuttavia per non sapere se l’armate dell’alta e della bassa Germania, comandate l’una da Virginio Rufo, e l’altra da Fontejo Capitone, fossero per venire alla sua divozione. Soprattutto gli dava dell’apprensione Virginio, siccome quello, a cui vedemmo fatte cotante istanze acciocchè assumesse l’imperio. Ma questi con eroica moderazione indusse l’armata, benchè non senza fatica, a giurar fedeltà a Galba; ed altrettanto anche prima di lui fece Capitone. Poco dipoi grato si mostrò Galba a Virginio, perchè chiamatolo alla corte con belle parole, diede il comandò di quell’esercito ad Ordeonio Flacco, e da lì innanzi trattò assai freddamente esso Virginio, senza fargli del male, ma neppur facendogli del bene.

I due maggiormente favoriti e potenti presso Galba cominciarono ad essere Tito Vinio, dianzi da noi mentovato, che ci vien descritto da Plutarco2 per uomo perduto nelle disonestà, ed l maggior segno, e3 Cornelio Lacone, uomo dappoco, e di parecchi vizii macchiato, che Galba senza dimora [p. 258]dichiarò capitano delle guardie, o sia prefetto del pretorio. Per mano di questi due passavano tutti gli affari. Volle anco Marco Salvio Ottone, vicepretore della Lusitania, accompagnar Galba a Roma. Era egli stato de’ primi a dichiararsi per lui, nè lasciava indietro ossequio e finezza alcuna per cattivarsi il di lui affetto, e quello ancora di Vinio, avendo conceputa speranza che il vecchio Galba, sprovveduto di figli, adotterebbe lui per figliuolo. E qualora ciò non succedesse, già macchinava di pervenire all’imperio per altre vie. Giunto Galba a Narbona, quivi se gli presentarono i deputati del senato, accolti benignamente da lui, ma senza che egli volesse mobili di Nerone, inviati da Roma, e senza voler mutare i propri, benchè vecchi; il che gli ridondò in molta stima, per darsi egli a conoscere in tal forma signore moderato e lontano dal fasto. Non tardò poi a cangiar di stile per gli cattivi consigli di Vinio. Intanto in Roma si alzò un brutto temporale, che felicemente si sciolse per buona fortuna di Galba. Ninfidio Sabino prefetto del pretorio, che più degli altri avea contribuito alla morte di Nerone, e all’esaltazione di Galba, si credea di dover essere l’arbitro della corte, e far da padrone allo stesso nuovo Augusto che tanto gli dovea. Perciò imperiosamente depose Tigellino suo collega, e sotto nome di Galba si diede a signoreggiare in Roma4. Ma dappoichè gli fu riferito che Cornelio Lacone aveva anch’egli conseguita la dignità di prefetto del pretorio, e ch’esso con Tito Vinio comandava le feste, se ne alterò forte, perchè non amava nè voleva compagno nell’uffizio suo. Mutate dunque idee, meditò di farsi egli imperadore. Trasse dalla sua quanti soldati delle guardie potè, ed anche alcuni senatori e qualche dama delle più intriganti; e giacchè non si sapea chi fosse suo padre, sparse voce di esser egli figliuolo di Caio Caligola. Gli ras-

  1. Suet., in Galba, c. 12.
  2. Plutarc., in Galba.
  3. Tacitus, Histor., lib. I, c. 6.
  4. Plutarc., in Galba.