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249 ANNALI D'ITALIA, ANNO LXVIII. 250


Anno di Cristo LXVIII. Indizione XI.
Clemente papa 2.
Nerone Claudio imperad. 15.
Servio Sulpicio Galba imperad. 1.


Consoli


Caio Silio Italico e Marco Galerio Tracalo


Il console Silio Italico quel medesimo è che fu poeta, e lasciò dopo di sè un poema pervenuto sino ai dì nostri. S’era egli meritata la grazia di Nerone, e nello stesso tempo l’odio pubblico, col brutto mestiere d’accusare e far condannare varie persone. Consisteva la riputazion di Tracalo nell’essere uomo di singolar eloquenza, trattando le cause giudiciali. Non durò il loro consolato più del mese d’aprile, a cagion delle rivoluzioni insorte, che liberarono finalmente l’imperio romano da un imperador buffone, mostro insieme di crudeltà1. Ne’ primi mesi dell’anno presente Caio Giulio Vindice, vicepretore e governator della Gallia Celtica, il primo fu ad alzar bandiera contro di Nerone, col muovere a ribellione que’ popoli: al che non trovò difficoltà, sentendosi essi troppo aggravati dalle estorsioni e tirannie del furioso imperadore, vivamente ancora ricordate loro da Vindice in questa occasione. Non teneva egli al suo comando legione alcuna, ma avea ben molto coraggio, e in breve tempo mise in armi circa centomila persone di que’ paesi. Con tutto ciò le mire sue non erano già rivolte a farsi imperadore; anzi egli scrisse tosto a Servio Sulpicio Galba, governatore della Spagna Taraconense2, e personaggio di gran credito per la sua saviezza, giustizia e valore, esortandolo ad accettar l’imperio, con promettergli anche la sua ubbidienza. Perciò circa il principio di aprile, Galba, [p. 250]raunata una legione ch’egli avea in quella provincia, con alquante squadre di cavalleria, ed esposte la crudeltà e pazzie di Nerone, si vide proclamato imperadore da ognuno. Egli nondimeno prese il titolo solamente di legato o sia di luogotenente della repubblica. Dopo di che si diede a far leva di gente, e a formare una specie di senato. Parve un felice augurio e preludio, l’essere arrivata in quel punto a Tortosa in Catalogna una nave d’Alessandria carica di armi, senzachè persona vivente vi fosse sopra. In questi tempi soggiornava l’impazzito Nerone tutto dedito ai suoi vergognosi divertimenti in Napoli quando nel giorno anniversario, in cui avea uccisa la madre, cioè nel di 21 di marzo, gli arrivarono le nuove della ribellion della Gallia e dell’attentato di Vindice. Parve che non se ne mettesse gran pensiero e piuttosto ne mostrasse allegria, sulla speranza che il gastigo di quelle ricche provincie gli frutterebbe degl’immensi tesori. Seguitò dunque i suoi spassi, e per otto giorni non mandò nè lettere nè ordini, quasichè volesse coprir col silenzio l’affare. Ma sopraggiunta copia degli editti pubblicati da Vindice nella Gallia, pieni d’ingiurie contra di lui, allora si risentì. Quel che più gli trafisse il cuore, fu il vedere, che Vindice invece di Nerone il nominava col suo primo cognome Enobarbo3, e diede poi nelle smanie perchè il chiamava cattivo sonator di cetra. Ne conoscete voi un migliore di me? gridò allora rivolto ai suoi, i quali si può ben credere che giurarono di no. Venendo poi un dopo l’altro nuovi corrieri, con più funesti avvisi, tutto sbigottito corse a Roma, consolato nondimeno per avere osservato nel viaggio, scolpito in marmo un soldato gallico trascinato pe’ capelli, da un romano: dal che prese buon augurio. Non raunò in Roma nè il senato nè il popolo; solamente chiamò una consulta de’ principali al suo palagio, e spese poi

  1. Dio., lib. 63. Sueton., in Nerone, cap. 40 et seqq.
  2. Sueton., in Galba, cap. 9 et seq.
  3. Philostratus, in Apoll.