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225 | ANNALI D'ITALIA, ANNO LXIII. | 226 |
fece questa maga che in quest’anno, col pretesto della sterilità di essa Ottavia, Nerone la ripudiò, e da lì a pochi dì arrivò Poppea all’intento suo di essere sposata da lui. Nondimeno qui non finì la guerra. Poppea, sovvertito uno de’ familiari di Ottavia, la fece accusar di un illecito commercio con un suonatore di flauto, nominato Eucero. Furono perciò messe ai tormenti le di lei damigelle, ed estorta da alcune con sì violento412 mezzo la confession del fallo; ma altre sostennero con coraggio l’innocenza della padrona, e dissero delle villanie a Tigellino, ministro non meno di questa crudeltà, che della morte data poco innanzi a Silla e a Rubellio Plauto già mandati da Nerone in esilio. Fu relegata Ottavia nella Campania, e messe guardie alla di lei casa, per tenerla ristretta. Ma perciocchè il popolo, che amava forte questa buona principessa, apertamente mormorava di sì aspro trattamento, la fece Nerone ritornare a Roma. Pel suo ritorno andò all’eccesso la gioia del popolo, perchè, ruppe le statue alzate in onor di Poppea, e coronò di fiori quelle di Ottavia, con altre pazzie d’allegria sediziosa; di che diede motivo a Poppea di caricar la mano contra dell’odiata principessa, persuadendo a Nerone che il di lei credito era sufficiente a rovesciare il suo trono. Fu perciò chiamato a corte l’indegno Aniceto, che già avea tolta di vita Agrippina, acciocchè servisse ancora ad abbattere Ottavia, col fingere d’aver tenuta disonesta pratica con lei. Perchè gli fu minacciata la morte, se ricusava di farlo, ubbidì. Promossa l’infame accusa colla giunta d’altre inventate dal maligno principe di aborto procurato, di ribellioni macchinate, l’infelice principessa, in età di soli ventidue anni, venne relegata nell’isola Pandalaria, dove passato poco tempo Nerone le fece levar la vita, e portar anche il suo capo a Roma, acciocchè l’indegna Poppea s’accertasse della verità del suo crudel trionfo. Di tante iniquità commesse da Nerone, forse [p. 226]niuna riuscì cotanto sensibile al popolo romano, come il miserabil fine d’una sì saggia ed amata principessa, la quale portava anche il titolo di Augusta, e massimamente al vederla condannata per così patenti ed indegne calunnie. La ricompensa ch’ebbe Aniceto dell’indegna sua ubbidienza, fu di essere relegato in Sardegna, dove ben trattato terminò poscia con suo comodo la vita. Pallante, già potentissimo liberto sotto Claudio, morì in quest’anno, e fu creduto per veleno datogli da Nerone, affin di metter le griffe sopra le immense di lui ricchezze.
Anno di | Cristo LXIII. Indizione VI. Pietro Apostolo papa 35. Nerone Claudio imperad. 10. |
Consoli
Caio Memmio Regolo e Lucio Verginio o sia Verginio Rufo
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Erano tuttavia imbrogliati gli affari dell’Armenia, dacchè Nerone avea colà inviato col titolo di re Tigrane1. Vologeso re de’ Parti persisteva più che mai nella pretension di quel regno, per coronarne Tiridate suo fratello, che gliene faceva continue istanze. Ma andava titubando, finchè Tigrane il fece risolvere a dar di piglio all’armi, per aver egli fatta un’incursione nel paese degli Adiabeni o sudditi o collegati de’ Parti. Dopo aver dunque Vologeso coronato Tiridate come re dell’Armenia, e somministratogli un possente esercito per conquistar quel paese, si diede principio alla guerra. Corbulone, governator della Siria, in aiuto di Tigrane spedì due legioni, e nello stesso tempo scrisse a Nerone, rappresentandogli il bisogno d’un altro generale, per accudire alla difesa dell’Armenia mentre egli dovea difendere le frontiere della sua provincia. Nerone v’inviò Lucio Cesennio Peto, uomo consolare, cioè ch’era stato console: il che ha fatto ad