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213 | ANNALI D'ITALIA, ANNO LIX. | 214 |
che soffocò Creperio Gallo cortigiano d’Agrippina; ma essa con Acerronia Polla sua dama d’onore si attaccò alle sponde, nè cadde. In quella confusione i marinai credendo che Acerronia fosse Agrippina, coi remi la uccisero. Ad Agrippina toccò solamente una ferita sulla spalla. Fu voltata in un lato la nave, perchè si affondasse; ed Agrippina cadutavi pian piano dentro, parte nuotando, e parte soccorsa dalle barchette che venivano dietro, si salvò, e fu condotta al suo palazzo nel lago Lucrino. Dione in poche parole dice, che, sfasciatasi la nave, Agrippina cadde in mare, nè si annegò. Più minuta, ma imbrogliata, è la descrizione che fa di questo fatto Tacito; ma, comunque succedesse, per consenso di tutti, Agrippina scampò la vita.
Ridotta nel suo palazzo, e in letto, per farsi curare, ricorrendo col pensiero tutta la serie di quel fatto, non durò fatica ad intendere chi le avesse tramata la morte. Prese la saggia determinazione di tutto dissimulare, ed immediatamente spedì Agerino suo liberto al figliuolo, per dargli avviso d’avere per benignità degli dii sfuggito un bravissimo pericolo, e per pregarlo di non farle visita per ora, avendo ella bisogno di quiete per farsi medicare. Nerone ch’era stato sulle spine la notte, aspettando nuova dell’esito degli esecrandi suoi disegni, allorchè intese come era passata la cosa, ed esserne uscita netta la madre, fu sorpreso da immensa paura, immaginandosi ch’ella potesse spedirgli contro tutta la sua servitù in armi, o muovere i pretoriani contra di lui, o comparire ad accusarlo in Roma al senato e al popolo. Sbalordito non sapeva allora in qual mondo si fosse. Fece svegliar Burro e Seneca, chiamandogli a consiglio, essendo ignoto s’eglino sì o no fossero prima consapevoli del delitto. Restarono un pezzo ambedue senza parlare, o perchè non osassero di dissuaderlo, o perchè credessero ridotte le cose ad un punto[p. 214] che Nerone fosse perduto, se non preveniva la madre. Nerone in fatti propose di levarla dal mondo; e Seneca, imputato da Dione d’aver dianzi dato questo medesimo consiglio, voltò gli occhi a Burro, come per domandargli che ne comandasse ai suoi pretoriani l’esecuzione. Ma Burro, non dimenticando che da Agrippina era proceduta la propria fortuna, prontamente rispose, che essendo obbligate le guardie del corpo a tutta la casa cesarea, e ricordandosi del nome di Germanico, non si potea promettere in ciò della loro ubbidienza; e che toccava ad Aniceto il compiere ciò ch’egli aveva incominciato. Chiamato Aniceto, non vi pose alcuna difficoltà, cosicchè Nerone protestò che in quel giorno egli riceveva dalle sue mani l’imperio; e quindi gli ordinò di prendere quegli armati che occorressero dalla guarnigione delle sue galee. Intanto arriva per parte di Agrippina Agerino. Sovvenne allora a Nerone un ripiego degno del suo capo sventato. Allorchè l’ebbe ammesso all’udienza, gli gittò a’ piedi un pugnale, e chiamò tosto aiuto, con fingere costui mandato dalla madre per ucciderlo, e il fece tosto imprigionare, e poi spargere voce, ch’egli s’era ucciso da sè stesso per la vergogna della scoperta sua mala intenzione. Intanto Agrippina, ch’era negli spasimi per non veder venire Agerino, nè altra persona per parte del figlio, in vece di essi mira entrar nella sua camera Aniceto, accompagnato da due suoi uffiziali, senza sapere se in bene o in male. Poco stette in avvedersene: un colpo di bastone la colse nella testa; e vedendo sguainata la spada da un di essi, saltando su gridò: «Ferisci questo,» mostrandogli il ventre. Fu di poi morta cou più ferite; e portatane la nuova a Nerone, non mancò chi disse di averla voluta vedere estinta e nuda, non fidandosi di chi gli riferì il fatto, e d’aver detto: «io non sapea d’avere una madre sì bella.» Tacito lascia in forse questa circostanza. Fu in quella stessa