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209 ANNALI D'ITALIA, ANNO LIX. 210

invogliossi di vederla, e il vederla fu lo stesso che innamorarsene perdutamente. Mostrossi anch’ella sul principio presa della di lui bellezza; poi colla ritrosia, e col fingersi troppo contenta del marito Ottone, e di non apprezzar molto chi era di spirito sì basso da compiacersi dell’amore di una vil serva, cioè di Atte liberta, tal corda gli diede, che sempre più andò crescendo la fiamma. Ne provò ben presto gli effetti lo stesso Ottone con restar privo della confidenza di Nerone, e col non essere ammesso alla di lui udienza, nè al corteggio. Di peggio potevagli avvenire, se Seneca, amico suo, non avesse impetrato, che Nerone l’inviasse per presidente della Lusitania, parte di cui era il Portogallo d’oggidì, dove con buone operazioni per dieci anni risarcì l’onore ch’egli avea perduto in Roma. Da lì innanzi Poppea trionfò nel cuor di Nerone. Dione1 pretende, che per qualche tempo Ottone e Nerone andassero d’accordo nel possedere costei; ma molto non sogliono durare sì fatte amicizie. Risvegliossi in quest’anno2 la guerra fra i Romani e i Parti, per cagion dell’Armenia. Vologeso re d’essi Parti pretendea di mettervi per re Tiridate suo fratello; i Romani voleano disporne a lor piacimento, come s’era fatto in addietro. Domizio Corbulone, che già dicemmo il più valente generale di Roma in questi tempi, comandava in quelle parti l’armi romane. Ma, più che i Parti, recava a lui pena la scaduta disciplina delle soldatesche sue, per lunga pace impigrite e dimentiche degli ordini della vecchia milizia. La prima sua cura adunque fu quella di cassare gl’inutili, di far nuove leve, e di ben disciplinar la sua gente, usando del rigore ch’era a lui naturale. S’impadronì egli poi di Artasata capitale dell’Armenia e di Tigranocerta; ed avendo voluto Tiridate rientrare nell’Armenia, il ripulsò, divenendo[p. 210] in fine padrone affatto di quella contrada. Probabilmente non succederono tutte queste imprese nell’anno presente. L’Occone e il Mezzabarba3, che riferiscono a quest’anno la pace universale, e il tempio di Giano chiuso in Roma, come apparisce da molte medaglie, andarono a tastoni in questo punto di storia. Tacito racconta in un fiato varii avvenimenti tanto dell’Armenia che della Germania, ma non succeduti tutti in un sol anno.


Anno di Cristo LIX. Indizione II.
Pietro Apostolo papa 31.
Nerone Claudio imperad. 6.


Consoli


Lucio Vipstano Aproniano e Lucio Fontejo Capitone

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Comunemente da chi ha illustrato i Fasti consolari, il primo di questi consoli è chiamato Vipsanio. Ma, secondo le osservazioni del cardinal Noris4, il suo vero nome fu Vipstano; e ciò può ancora dedursi da un’iscrizione pubblicata anche da me5. In essa s’incontra Cajo Fontejo. Se ivi è designato il console di questi tempi, Cajo e non Lucio sarà stato il suo prenome. Giunse in quest’anno ad un orrido eccesso la più che maligna natura di Nerone. Erasi rimessa in qualche credito Agrippina sua madre, dappoichè le riuscì di superar le calunnie di Giunia Silana; ma dacchè entrò in corte Poppea Sabina, cominciò una nuova e più fiera guerra contro di lei. Aspirava questa ambiziosa ed adultera donna alle nozze del regnante, al che, vivente Agrippina, le parea troppo difficile di poter giungere, sì perchè Agrippina amava forte la saggia e paziente sua nuora Ottavia, e sì perchè non avrebbe potuto soffrire presso il figliuolo chi a lei fosse superiore negli onori e nel comando. Cominciò dunque Poppea a stimolar

  1. Dio., lib. 90.
  2. Tacitus, lib. 13, cap. 34.
  3. Mediobarbus, in Numism. Imperal.
  4. Noris, Ep. Consul.
  5. Thes. Nov. Veter. Inser., p. 305, n. 3.