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203 | ANNALI D'ITALIA, ANNO LVI. | 204 |
Anno di | Cristo LVI. Indizione XIV. Pietro Apostolo papa 28. Nerone Claudio imperad. 3. |
Consoli
Quinto Volusio Saturno e Publio Cornelio Scipione.
Secondochè abbiam da Svetonio, soleva Nerone mutar nelle calende di luglio i consoli. Per questo va congetturando Vinando Pighio, che ai suddetti consoli fossero sostituiti Curtilio Mancia e Dubio Avito, per trovarsi eglino da qui a due anni proconsoli. Cominciò in quest’anno lo sbrigliato giovinastro Nerone a menar una vita più che mai scandolosa1 La notte travestito da servo, accompagnato da alcuni suoi fidi, scorreva per le strade per gli postriboli, per le bettole a sfogare i bestiali suoi appetiti, divertendosi in rompere ed isvaligiar botteghe, e in dar per ischerzo delle battiture a chi s’incontrava per via, e far di peggio a chi resisteva. Essendo poi trapelato venir da Nerone somiglianti insolenze, presero animo altri giovani scapestrati per unirsi insieme, e far lo stesso sotto nome di lui, ingiuriando uomini e donne illustri: con che pericoloso per tutti divenne lo andar di notte per Roma. Perchè Nerone non era conosciuto, toccavano anche a lui talvolta delle busse. Per attestato di Plinio2 fu sfregiato una notte in volto. Con tassia, incenso e cera avendo unta la percossa, la mattina seguente comparve con la cute sana. Uno di quelli che la notte gli diedero alcune bastonate o ferite, o sia per cagion della moglie, come vuole Svetonio e Dione, o pure per motivo di propria difesa, come s’ha da Tacito, fu Giulio Montano, uomo nobile e già vicino a divenir senatore. Stette Nerone a cagion di questo regalo più dì confinato in casa, nè già pensava a vendetta,[p. 204] perchè si figurava di non essere stato conosciuto, e però non ingiuriato. Ma il mal accorto Montano, saputo con chi egli avea sì malamente trescato, andò ad infilzarsi da sè stesso con iscrivergli una lettera lagrimevole e chiedergli perdono. «Come! gridò Nerone, costui sa d’aver percosso l’imperadore, nè si è per anche data la morte da sè stesso!» Gli fece egli dipoi insegnare come andava fatto. Da lì innanzi usò Nerone di uscir di notte con una banda di soldati e di gladiatori, che il seguitavano in disparte. Se per le insolenze ch’egli commetteva, talun si rivoltava, allora costoro menavano le mani. Dilettavasi parimente il forsennato Augusto di accendere e fomentare le fazioni del popolazzo nelle pubbliche commedie, gustando ora da luogo occulto, ed ora scoperto, di mirare se si davano de’ pugni, e tiravano dei sassi, essendo egli talora il primo a gittarne, con avere anche una volta ferito in volto il pretore, presidente ai giuochi. Andò tanto innanzi la confusione per questo, con pericolo di peggio, che bisognò rimettere le guardie ne’ teatri, e bandire dall’Italia alcuni dei più sediziosi istrioni e pantomimi. Piena3 era l’antica Roma di schiavi e di liberti. Ancorchè i primi con acquistar la libertà dai padroni, sembra che fossero sciolti da ogni legame, pure o per la pratica, o per le riserve tacite od espresse che si faceano, erano tenuti a servire essi padroni, ma in impieghi più onorevoli. Se mancavano, erano gastigati; se arrivava il lor fallo all’ingratitudine, tornavano schiavi. Grandi lamenti insorsero in questi tempi de’ padroni contra dei liberti; e in senato fu proposto di fare una legge rigorosa, che gli abbracciasse tutti. Nerone l’impedì con ordinare, che il gastigo andasse sopra i particolari, per le ragioni che ne adduce Tacito. Fu anche modificata la soverchia autorità de’ pretori, degli edili e de’ tribuni della plebe.