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201 | ANNALI D'ITALIA, ANNO LIV. | 202 |
suo corpo, acciocchè non apparissero i segni del veleno. Dione all’incontro scrive, che per coprir que’ segni apparenti nel volto, Nerone lo fece imbiancare col gesso; ma sopraggiunta una dirotta pioggia nel portarlo al rogo, si lavò l’imbiancatura, onde ognuno potè scorgere l’iniquità del fatto. Anche Tacito parla di essa pioggia, ma con dir solamente, averla interpretata i Romani per un contrassegno dell’ira degli dii.
Questo colpo sbalordì fieramente Agrippina, sì per vedere di che fosse capace il figliuolo, e sì per trovarsi priva di chi al bisogno avrebbe potuto giovare ai suoi disegni. Ma fece forza a sè stessa, per coprire l’interno affanno. Nè meno di lei seppe contenersi nel mirarsi tolto da sì barbara mano il caro fratello Ottavia, siccome già avvezza a non zittire per qualunque aggravio che le fosse fatto. Colle spoglie di Britannico Nerone arricchì di poi Burro e Seneca: il che diede da mormorare di essi a non pochi. Ne fece anche parte ad Agrippina; ma questa non potea darsi pace al vedere un figlio agitato da sì violente passioni, e al temere di peggio. Laonde per premunirsi cominciò a farsi del partito coi tribuni centurioni della milizia, ed insieme ad adescare i più accreditati della nobiltà, non più altera, come in addietro, ma abbondante di cortesia anche all’eccesso. E soprattutto raunava danaro, creduto il più potente amico nelle occorrenze. Seppelo Nerone; le levò le due guardie de’ pretoriani e Germani; la fece anche passare dal palazzo imperiale ad abitare in quello di Antonia sua avola, per tenerla lontana da sè. Portavasi talvolta a visitarla, ma sempre attorniato da molti centurioni, e dopo un breve complimento, se n’andava. Allora comparve a che vicende sia suggetta l’umana potenza, e quanto fragile e vana sia la grandezza de’ mortali. Quella dianzi tanto venerata e temuta donna si trovò in isola; niun più andava a visitarla, a riserva di poche femmine; ognun fuggiva d’incontrarla,[p. 202] di parlarle, di mostrarsene parziale. A questo arrivò la smoderata ambizion di Agrippina; e pure non finì qui la sua depressione. Giulia Silana, nobilissima dama, già amica sua, e poi gravemente disgustata pel matrimonio di Sesto Africano, concertato da lei, e frastornato da Agrippina, prese ad accusarla, e fece passare all’orecchio, di Nerone per mezzo di Paride commediante, che la madre era dietro a volere sposar Rubellio Plauto, per via di femmine discendente da Augusto, con disegno di sconvolgere poi lo stato. Passata la mezza notte, corse Paride a far questa relazione a Nerone, il quale si ritrovava allora, secondo il solito, ubbriaco. Il primo ed unico pensiero dell’infuriato Augusto fu quello di uccider la madre e Plauto, e di levar la carica di prefetto del pretorio a Burro, sospettandolo d’accordo con Agrippina, da cui egli riconosceva la sua fortuna. Seneca chiamato al romore, il pacificò per conto di Burro, attestandone l’onoratezza. Accorse anche Burro, e promise di torre la vita ad Agrippina, se si recavano prove dell’accusa, mostrando poi la necessità d’ascoltar lei ancora. Fatto giorno, i ministri andarono ad intimarle l’accusa e a rivelarle gli accusatori. Agrippina rispose col non per anche deposto orgoglio, e dimandò di poter parlare al figliuolo: il che non le fu negato. Parlò in maniera, che il rasserenò, e poscia andò il gastigo a cadere sopra Silana, che fu relegata, e sopra alcuni altri complici di lei. Ottenne ella ancora dei posti per alcuni suoi favoriti. Un’altra accusa in questi tempi venne in campo contra del suddetto Burro, e di Pallante liberto da noi più volte nominato, imputati di voler portare all’imperio Cornelio Sulla, uno de’ primati romani. Si difesero in maniera, che solamente Peto l’accusatore ne portò la pena con essere relegato.