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187 ANNALI D'ITALIA, ANNO LII. 188

lui, e di pari utile al pubblico, cioè1 di seccare il Lago Fucino, detto oggidì Lago di Celano nell’Abbruzzo, per mettere quelle terre a coltura, e difendere le circonvicine dalle inondazioni che andavano di dì in dì crescendo: fattura, per cui quei popoli Marsi avevano fatte più istanze ad Augusto, ma senza nulla ottenere. Vi si applicò con incredibil vigore Claudio, pensando di fare scolar quell’acque non già nel Tevere, come alcuno ha creduto, ma bensì nel fiume Liri o sia nel Garigliano. Plinio il vecchio2 per un’opera maravigliosa ci descrive questo tentativo di Claudio, e di spesa infinita; imperciocchè per undici anni vi aveva egli impiegato continuamente circa trentamila lavoratori in far cavare e tagliare una montagna di tre miglia, di profondità incredibile, e condurre un canale lunghissimo da esso lago al fiume. Allorchè l’opera fu creduta compiuta, Claudio, acciocchè si conoscesse da ognuno la magnificenza della medesima, ordinò che si facesse prima un solennissimo combattimento navale sul medesimo lago. Raunati da varie parti dell’imperio diciannovemila uomini (se pur non v’ha difetto in quel numero) condannati a morte, li compartì in due squadre di navi colle lor armi, avendo disposto all’intorno in barche i pretoriani ed altre milizie, affinchè niuno scappasse. Tutte le ripe e le colline d’intorno erano coperte di gente accorsa allo spettacolo o per curiosità, o per corteggiare l’imperadore, che vi assistè con Agrippina3, amendue superbamente vestiti. Sperando i destinati a combattere grazia, il salutarono, dicendo che andavano a morire, e non altra risposta ricevendo, se non che anch’egli salutava loro, non volevano più procedere alla battaglia. Tante esortazioni e minacce si fecero, che finalmente le nemiche [p. 188]squadre l’una appellata la siciliana, l’altra la rodiana, si azzuffarono e combatterono da disperate. Molti furono i morti, più i feriti. Chi restò in vita ottenne poi grazia. Quindi passò la corte ad un magnifico convito, nel qual tempo si lasciò correre l’acqua del lago pel nuovo fabbricato canale; ma essa con tal empito corse, che fracassò in più luoghi le muraglie delle sponde, ed allagò talmente il territorio, che Claudio andò a pericolo d’annegarsi. Egli è pur di pochi il prevedere tutte le forze delle acque messe in moto. Altre simili burle da loro fatte ho io letto, ed anche veduto. Agrippina fece allora una gran lavata di capo a Narciso, imputandogli di non aver fatto assai forte il lavoro per risparmiare la spesa, e mettersi in saccoccia il danaro; e Narciso anch’egli rispose a lei per le rime con dei frizzi intorno alla di lei superbia, alle idee della sua ambizione. Aggiugne Tacito4, non essere stato quel canale sì basso da potere scolar le acque del lago troppo profondo nel mezzo. Ordinò nondimeno Claudio, che si rifacesse meglio il lavoro; ma per quanto si può dedurre da Plinio il vecchio, egli non campò tanto da vederlo compiuto. Nerone suo successore per invidia alla di lui gloria non si curò di perfezionarlo; e per quanto poi facessero Traiano e Adriano, il lago sussistè, e tuttavia sussiste. Un’altra maravigliosa impresa di Claudio Augusto fu l’aver egli condotto a fine l’acquidotto cominciato da Caligola, per cui furono introdotte in Roma le acque curzia e cerulea per quaranta miglia di viaggio5; e ad una tale altezza, che arrivavano alla cima di tutti i colli di Roma, e in tanta abbondanza, che servivano ad ogni casa, alle peschiere, ai bagni, agli orti e ad ogni altro uso. Plinio il vecchio, descrivendo la grandiosità di quest’opera stupenda, ci assicura, che al veder tagliate montagne, riempiute valli, e tanti archi per condurre quella

  1. Dio., lib. 60. Suetonius, in Claudio, cap. 20. Tacitus, Annal., lib. 12, cap. 57.
  2. Plinius, lib. 36, cap. 15.
  3. Sueton. in Claudio, cap. 21.
  4. Tacitus, Annal., lib. 12, cap. 57.
  5. Plin., lib. 36, cap. 15.