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151 ANNALI D'ITALIA, ANNO XLII. 152

moglie; e facendo lo spaventato e il tremante, gli raccontò di aver veduto in sogno lo stesso imperadore ucciso per mano del sopraddetto Appio. Saltò su allora Messalina, e calcò la mano con dire, aver anch’ella le notti addietro più volte con orrore sognato un sì orrendo spettacolo. Nello stesso tempo vien bussato all’uscio, ed è Appio Silano che Messalina e Narciso d’accordo aveano fatto venire a quell’ora. Non occorse di più. Claudio, a cui in materia di sospetti le biche pareano montagne, diede tosto ordine che gli fosse levata la vita, e l’ordine fu eseguito. Portò lo stesso Claudio al senato questa bella nuova, come liberato da un gran pericolo, e molto ringraziò il suo liberto Narciso che anche sognando vegliava così bene per la vita del suo padrone. Somiglianti foghe di sospetti e timori fecero, che Claudio in altre occasioni togliesse dal mondo altre persone innocenti con subitaneo furore; ed accadde talvolta (cotanto era stupido) che dopo aver fatto morir taluno, come tornato in sè, dimandava conto, credendolo vivo. Dettogli, che per ordine suo non si contava più fra i mortali, se ne rammaricava poi forte, ma senza profitto dei morti.

Credesi che l’ingiusta morte di Silano, e il mirar la stupidità di Claudio capace d’altre simili false carriere, desse moto ad una congiura contra di lui: tanto più perchè durava in molti l’idea di rimettere in piedi la libertà della repubblica, nè parea ciò difficile sotto un imperadore impastato di paura1. Annio Viniciano, o Minuciano, fu delle prime ruote di tal cospirazione, siccome quegli che non si tenea mai sicuro, dopo essere stato uno de’ principali nella congiura contro Caligola, e proposto anche in senato per succedergli nell’imperio. Ma sì grande impresa non si potea compiere senza l’armi; e Claudio intanto era ben assistito dai pretoriani e dall’altre milizie, che stavano di quartiere in Roma, [p. 152]perchè, oltre alla paga ordinaria, li rallegrava ogni anno con un buon regalo. Si rivolsero dunque i congiurati a Furio Camillo Scriboniano, che comandava ad alcune legioni nella Dalmazia, promettendogli aiuto se armato veniva a Roma. Vi saltò egli dentro, e fattasi giurar fedeltà da quell’esercito, col pretesto di restituire il popolo romano nell’antica autorità, tutto andò disponendo, con iscrivere intanto una lettera fulminante e piena d’ingiurie a Claudio, minacciandogli tutti i malanni se non rinunziava l’imperio. Ricevuta questa imperiosa intimazione, non era lontano Claudio dall’ubbidire; ma un accidente il liberò dal pericolo. Dato da Furio Camillo il segno della marcia, per caso fortuito si trovò difficoltà a sollevar le insegne che, secondo il costume, stavano conficcate in terra. Erano i Romani d’allora la più superstiziosa gente del mondo; badavano a tutto, interpretando anche le menome bagattelle per presagi favorevoli o contrari dell’avvenire. Bastò questo perchè i soldati credessero volontà degli dii il non dar esecuzione al meditato viaggio. Furio Camillo trovandosi deluso, se ne fuggì in un’isola della Dalmazia, dove2 fra le braccia di Giunia sua moglie fu ucciso da un semplice soldato, appellato Volaginio, il quale premiato poi da Claudio ascese ai primi gradi della milizia. Per questa sedizione terminata con tanta felicità, Claudio fece far di molte perquisizioni in Roma, affin di scoprire i complici. Alcuni furono giustiziati, altri si levarono la vita da sè stessi, fra i quali specialmente si contò il sopr’accennato Viniciano o Minuciano. Non pochi anche dei cittadini romani, de’ cavalieri e insin dei senatori furono messi ai tormenti, e data licenza ai servi e liberti di accusare i loro padroni, benchè Claudio nell’anno addietro avesse abolito quegli usi. In somma si rimpiè tutta Roma di sospiri e di terrore; e quei soli se n’andarono

  1. Sueton. in Claudio, cap. 13. Dio., lib. 60.
  2. Tacit. Historiar. lib. 2, cap. 75.